L’antica Ceylon – oggi denominata Sri Lanka – è un’isola tropicale dell’Oceano Indiano posta a sud dell’India. Il 75% della popolazione è di origine singalese e nella sua stragrande maggioranza di fede buddhista, mentre i cristiani sfiorano l’8% della popolazione. Nel 1869 un batterio denominato Hemileia Vastarix devastò le  piantagioni di caffé presenti sull’isola e questo, insieme alla dominazione coloniale inglese, fece sì che il caffè fosse gradualmente sostituito dalle piante del thè, appannaggio degli indiani. In ciò risiede il motivo per cui il 18% della popolazione è di origine tamil e di religione induista. La prima presenza salesiana nello Sri Lanka risale al 1956, quando giunse per primo un missionario di Don Bosco francese, don Hendrey Remery. Dopo qualche anno, nel 1963, nacque il primo centro professionale a Negombo, sulla costa occidentale, dove la maggior parte della popolazione è di fede cattolica. Da allora sono stati avviati molti altri centri, principalmente dedicati all’infanzia e alla gioventù più svantaggiate, fra cui Nochchiyagama, Mankulam, Dankotuwa.
Anche nello Sri Lanka, come in molte aree del mondo, è stato decretato un lockdown all’inizio del 2020 che ha favorito un abbassamento dei contagi, ma anche qui in autunno si sono verificati nuovamente diversi focolai che hanno spinto il governo a nuove misure restrittive. I salesiani, presenti con scuole, oratori, centri giovanili, dispensari medici, parrocchie, sono stati coinvolti in entrambe le occasioni. In un Paese piegato da una lunga guerra una pandemia di questa portata ha peggiorato una situazione già estremamente drammatica.