Al “Don Bosco Children” (siglato DBC) di Addis Abeba sono attualmente presenti settanta ragazzi di strada per un percorso triennale di formazione e di reinserimento. Nessuno viene obbligato ad entrare in questo Centro: i salesiani vanno la sera a cercarli e a presentare loro questa opportunità. L’incontro si ripete più volte, e chi ha compreso il senso della proposta incomincia a visitare la struttura. All’inizio rimane qui solo durante la giornata: studia e gioca con gli altri, mangia, osserva i laboratori, si fa una doccia. La sera torna per strada con i suoi vestiti, con le sue abitudini e con i relativi espedienti per sopravvivere (piccoli furti, consumo di colla come droga: l’effetto è di togliere il morso della fame).
Da questo confronto quotidiano fra la condizione di marginalità e le potenzialità di reinserimento scatta nel ragazzo il desiderio di provare una “strada” diversa. Si mette così in azione il meccanismo di accoglienza vera e propria, che comprende la formazione professionale e l’accompagnamento psicologico. Non è un “intrattenimento” ma un percorso finalizzato a trovare un lavoro. La qualità di questa formazione è attestata anche da riconoscimenti pubblici, l’ultimo in ordine di tempo quello del Primo ministro italiano che ha consegnato un premio come migliori tecnici meccanici a due ragazzi usciti dal DBC.
Il percorso tiene conto delle loro difficoltà ad cambiare vita. Provengono in gran parte da zone rurali: arrivano con la voglia di conoscere la capitale e con l’illusione di trovare opportunità maggiori. La povertà delle loro famiglie è profonda, i ragazzi fuggono senza preavviso. Certo è un alleggerimento del carico per i genitori, ma il vuoto di comunicazione è una tragedia che segna tutti i protagonisti.
Fra i punti di attenzione del DBC ci sono quelli sanitari: malattie, infezioni, dipendenze. L’infermiere presente nel centro se ne fa carico, e accerta fra l’altro se il ragazzo sia stato circonciso: si tratta infatti di una condizione culturalmente e igienicamente importante per un Etiopico. La tradizione religiosa prescrive la circoncisione al settimo giorno di vita, ma poiché non è più consentito eseguirla in casa – e non tutti i genitori hanno il denaro necessario per pagare la prestazione in ospedale – questi i ragazzi rimangono col prepuzio. Ne deriva una sorta di handicap perché viene considerato come un impuro, un estraneo alla comunità, e viene respinto anche dalle ragazze.
L’infermiere li accompagna in gruppo in ospedale e paga il ticket; al Centro i ragazzi hanno poi la possibilità di riprendersi dall’intervento e di preservarsi da possibili infezioni.
Il programma dei salesiani è stato studiato in accordo con l’amministrazione pubblica, che gestisce anche dei propri centri di recupero: ma in questi l’accoglienza è limitata a tre mesi; i ragazzi sono dimessi senza chiarezza su quali siano le loro prospettive. Spesso ritornano alla vita di prima.
I salesiani si sono fatti aiutare da psicologi per l’elaborazione del loro intervento: le situazioni sono delicate e richiedono competenza oltre che passione. Motore del Don Bosco Children è il “modello originale Valdocco”: voler bene ai ragazzi, chiedere la loro partecipazione, nutrirli spiritualmente. Non c’è una cappella per celebrazioni liturgiche: il Centro è laico, accoglie ragazzi copti, musulmani e cattolici, senza distinzione. Ma un alone di costante preghiera – di gratitudine e di richiesta – accompagna la quotidianità. Il salesiano è sempre in mezzo ai ragazzi, si lascia invadere da loro e con loro scherza e canta.
Dopo i tre anni al DBC possono tornare alle loro case. Non sempre le famiglie sono ben disposte ad accettarli, si sentono tradite e non hanno fiducia nel recupero dei figli. Ma anche questo è un passaggio dell’intervento salesiano: uno di loro li accompagnerà a casa, a spiegare e a dare rassicurazioni. Poi sarà la vita: dura da affrontare, ma con una strumentazione un po’ più salda.
Il governo ha deciso in queste settimane una “pulizia” più decisa in alcuni quartieri di Addis Abeba: l’ansia di abba Angelo è quella di preparare in pochi giorni un alloggiamento di fortuna per chi vuole sottrarsi a questo “rastrellamento”. Anche se al momento riparati la notte allo stretto di un container attrezzato, per un altro centinaio di ragazzi sarà questa la soluzione per vedere l’uscita dal tunnel del disagio.