La fedeltà può essere una chiave di lettura dell’opera missionaria di don Erminio De Santis, nato 72 anni fa nel Lazio, da quaranta in Madagascar. Non si tratta solamente di misurare una lunga permanenza nel medesimo Paese, ma di percepire la condivisione profonda degli obiettivi del riscatto e della crescita dei giovani più poveri in un contesto che sembra non fare decisivi passi avanti. Il Madagascar è una grande isola, lunga 1.500 chilometri (300 più dell’Italia, con una superficie quasi doppia rispetto alla nostra penisola) che emerge dall’Oceano Indiano. Quando chiediamo a don Erminio di descriverci questo Stato “africano”, la sua correzione è d’obbligo: “non siamo Africa, neppure Asia”. Questa terra di mezzo, prezioso ponte fra civiltà, utile tappa dei commerci fra Oriente e Occidente nell’emisfero Sud, ha una sua natura e una sua identità geologica ma anche antropologica. È su questo crinale che le missioni salesiane iniziate con gli Anni Ottanta del secolo scorso si pongono a servizio dei bambini e degli adolescenti, in un relativo isolamento che è connaturato all’insularità, ma anche alla grande varietà di situazioni al suo interno.
Ci sembra di poter ricavare dalle parole di don Erminio che il carattere di questa terra emersa si è accentuato negli ultimi decenni sia a causa della forbice sociale nel Paese che si allarga, sia per gli effetti dei cambiamenti climatici che si manifestano con estrema violenza sull’isola: “C’è abbondanza d’acqua nel centro e nel nord del Paese, mentre il sud è pregiudicato dalla desertificazione in atto e dall’arrivo periodico di rovesci devastanti” ricorda il missionario. Con questo sfondo ambientale ed economico, cosa può fare e prospettare l’azione in stile Don Bosco? La scelta di accompagnare i ragazzi nella loro crescita – di offrire loro la possibilità di averne una – è la scommessa che tenacemente si persegue a Ivato, dove opera don Erminio. La recente esperienza del gemellaggio fra il Centro Notre Dame di Clairvaux e l’istituto Rebaudengo di Torino, con il progetto “Panda 4 mission” è un esempio emblematico: una via innovativa per raccogliere fondi e per far conoscere l’esperienza missionaria, ma soprattutto per mettere in relazione i giovani del Madagascar e i loro coetanei di una nostra periferia, tutti alla ricerca di un futuro migliore.
L’intervento dei missionari è rivolto alla prevenzione di situazioni di abbandono, ma è pronto ad aprire il paracadute dell’accoglienza. Mille pasti al giorno, tutti i giorni, sono la risposta alla fame dei ragazzi della zona che nelle 24 ore non hanno altra fonte di alimentazione. Gli allievi che abitano più lontano diventano gli “interni” ai quali si destina anche un letto e soprattutto un riparo dalle difficoltà e dai rischi incombenti. A fianco allo studio, il tempo libero viene proposto con corsi di canto, di musica, di teatro, di arte, decorativa, di calcio, di basket, di pallavolo, di karate.
Tutto questo sembra uno sforzo non ripagato da un miglioramento visibile della situazione complessiva del popolo malgascio; anzi, talvolta la staticità della situazione fa pensare a un arretramento a fronte del correre avanti del resto del mondo. Ma è qui che interviene il sostegno caloroso dei tanti benefattori di Missioni Don Bosco e la speranza missionaria di perseguire a tutti i costi gli obiettivi della missione, sapendo bene che se mancasse l’aiuto attraverso le diverse opere salesiane la situazione sarebbe decisamente più drammatica per tanti singoli ragazzi ma anche per le loro comunità.