Ucraina, dolore e impotenza

Carissime amiche, carissimi amici, queste, insieme a molte altre, sono solo alcune delle conseguenze di questa guerra che ho visto due volte con i miei occhi. Toccare con mano, vedere da vicino, sentire paura, e dimenticarsene subito dopo; accompagnare, stare con chi ha bisogno, con chi ha nel cuore solo la speranza che un giorno tutto sarà diverso, che tutto tornerà alla normalità e che nessuno gli ruberà ciò che è suo, che nessuno ha il diritto di togliergli ciò che si è guadagnato con il lavoro, con il sudore, con le lacrime… passare una settimana in Ucraina mi ha scatenato un turbinio di pensieri, di emozioni, che adesso sento il bisogno di condividere con voi.

Arrivare a Leopoli dopo due anni mi ha fatto pensare ancora una volta che, comunque la si guardi, non c’è nulla che giustifichi una guerra. Che dire: l’egoismo, l’ambizione hanno vinto i nostri cuori? Non siamo capaci di vedere nell’altro un fratello, un figlio di Dio? Quando perdiamo il senso della fratellanza perdiamo il rispetto per l’altro

Arrivato dai miei confratelli, lì dove mi avrebbero ospitato, mi è sembrato che tutto fosse normale, che le cose funzionassero, i trasporti pubblici, le auto in strada, i bambini a scuola, le persone che andavano al lavoro e così via. Non c’erano folle ai cancelli, non c’erano carrozzine spinte da madri in fuga, non c’erano turni di pranzo o scale piene di gente che saliva e scendeva; al contrario c’era la sensazione che tutto filasse liscio.Entrando nella realtà della vita quotidiana ho iniziato ad avere la sensazione che tutto fosse una facciata, che tutti abbiano iniziato a pensare “andiamo avanti perché non ha senso fermarsi, non ha senso rimanere chiusi in un bunker in attesa di chissà cosa”. Ho cominciato a sentire l’insicurezza che si impadroniva di me, come se dovessi andare avanti senza farmi domande, ignorare e rimuovere per non deprimermi più di quanto già non fossi, ignorare per nutrire la speranza che un giorno tutto sarebbe tornato a una normalità reale e non fittizia.

Si dice che il tempo guarisce le ferite e che con il tempo si comincia ad accettare che le perdite sono reali: qui non l’ho percepito, mi sembrava che tutto quello che stava accadendo nel tempo potesse solo peggiorare, diventare ancora più drammatico. Il mio primo vero shock è stato sul campo di calcio, quando siamo andati ad assistere all’allenamento dei mutilati; è commovente lo sforzo che fanno per migliorarsi, il sacrificio e la voglia che mettono nell’allenamento… ma hanno perso un arto che non potranno mai recuperare, che non crescerà più. Il trauma di fronte a questa nuova realtà è molto forte; sono giovani, alcuni di loro sono genitori. Ed è lì sul campo da calcio che hanno trovato un sostegno e uno stimolo per impegnarsi a normalizzare in qualche modo la loro vita, malgrado la perdita di un arto. 

La visita al cimitero che si trova nel centro della città, è una delle esperienze di vita che non dimenticherò mai, le tombe con foto, fiori e altri oggetti che sicuramente hanno un significato e un impatto impossibili da descrivere. La tristezza mi ha invaso, l’angoscia si è impadronita della mia persona. Camminavo tra le tombe, mi fermavo a leggere i nomi e le date di nascita e di morte in combattimento. C’erano tanti giovani che avevano dato la vita, ma ho pensato che avrebbero dovuto fare altre cose, giocare una partita di calcio, incontrarsi con gli amici, all’università. C’erano bandiere dell’Ucraina ovunque, ma molti avevano la bandiera nera e rossa; un salesiano locale ci ha spiegato il significato dei colori, il nero rappresenta la terra dell’Ucraina e il rosso è il sangue dei caduti che hanno donato la loro vita per l’amore per la propria patria.

La visita a Mariapolis è stata un’altra delle esperienze forti che ho vissuto in silenzio. Tante le famiglie che vivono nei container e che hanno perso tutto, tanti bambini senza casa. Anche lì ci sono i salesiani che li accompagnano e danno loro assistenza, sono quasi un migliaio di persone di cui più di 200 sono minori. Ogni mezza giornata danno loro da mangiare e sono presenti per qualsiasi necessità. Sono tutte persone che col tempo avranno necessità di una condizione di vita migliore, oggi è solo un aiuto per la sopravvivenza.
Siamo partiti da lì e ci siamo ritrovati nella casa-famiglia dove ci sono 65 minori. Sono assistiti anche loro dai salesiani e qui hanno trovato un luogo dove essere accompagnati, curati, dove poter andare a scuola. Alcuni sono orfani, altri sono stati portati qui dalle loro famiglie, e ci sono casi di ogni genere e situazioni di vita molto dolorose.

I giorni sono passati e siamo andati a Kiev per visitare la casa salesiana e vedere da vicino cosa significa vivere in un Paese in guerra. Dopo circa 8 ore di viaggio siamo arrivati sul posto. Lì abbiamo potuto visitare la casa, passeggiare per la città e incontrare persone che non sanno come vivere in mezzo a questa insicurezza. Di notte è suonata la sirena e ci siamo dovuti rifugiare nel bunker. Cosa dire in poche parole? Silenzio, insicurezza, paura e non sapere cosa sarebbe successo fuori, mentre nutrivano la speranza che l’allarme non durasse a lungo. Siamo rimasti lì per circa due ore e poi abbiamo potuto tornare a dormire. Dopo due giorni abbiamo deciso di tornare a Leopoli, perché non ci sentivamo per nulla sicuri.

E confesso che quando ho salutato i miei fratelli salesiani, mi è venuta la stessa angoscia di due anni fa, la stessa sensazione che io potevo andare via, sapendo che loro invece rimanevano là e che lo facevano per scelta, per stare in mezzo alla loro gente, per accompagnarla e per dare tutto quello che possono. Oggi, a casa e con una sensazione diversa dall’insicurezza che avevo lì, continuo a farmi domande e non riesco a trovare una risposta alla guerra, alla sofferenza e al dolore di tante persone. Come Missioni Don Bosco, io e il mio team con i missionari locali, vogliamo continuare ad essere vicini alla popolazione indifesa, vogliamo continuare ad essere fratelli e sorelle e che il nostro aiuto possa servire affinché un giorno possa tornare la pace e tutti gli ucraini possano tornare alla vita normale. Grazie a te e alle persone che ci affiancano in questo cammino!

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