Sud Sudan: la pace fatica a mettere radici

La notizia è arrivata al vescovo Barani Eduardo Hiiboro Kussala mentre si trovava con i suoi confratelli della Conferenza episcopale del Sud Sudan in visita ad limina apostolorum da papa Francesco. Il 12 settembre 2018 i leader politici sud sudanesi hanno firmato il documento finale degli accordi di pace. Dopo quasi cinque anni di conflitto armato, è stata una graditissima sorpresa: alla partenza per Roma lo stesso vescovo aveva espresso riserve sulla possibilità di concludere la devastante guerra civile.

Anche il nostro missionario in Sud Sudan Jim Comino aveva molte perplessità sul fatto che gli accordi abbozzati il 28 giugno fra il Presidente e il vice-presidente Riek Machar corrispondessero a una autentica volontà di pace di tutte le forze in campo. “A diretto contatto con la gente dei campi profughi sia nel nord che nel sud, vedevo che era e rimane scettica e pessimista” testimonia Comino.  “Finora i diversi accordi firmati sono stati lettera morta, e le condizioni di vita sono peggiorate. Il giorno dopo quello in cui il nuovo governo aveva dichiarato solennemente il ‘cessate il fuoco’, i ribelli hanno sparato sui civili in alcuni villaggi”.

L’accordo finale è stato firmato nella capitale etiopica Addis Abeba dal Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e dal leader ribelle, l’ex Vice Presidente Riek Machar. Esso prevede, tra l’altro, che questi assuma nuovamente la carica alla quale aveva rinunciato fuggendo dopo l’attacco governativo del 2016: il fatto che abbia ripreso il suo posto nelle istituzioni del Paese è un segnale positivo.

Nel suo messaggio, ripreso dall’agenzia Fides, mons. Kussala ha espresso la sua riconoscenza alle parti sud sudanesi e ai leader regionali riuniti nell’IGAD (Intergovernmental Authority on Development), in particolare quelli di Sudan, Uganda, Kenya ed Etiopia, che hanno mediato per raggiungere l’accordo. Il vescovo non nasconde però le difficoltà ancora da superare, come “una certa mancanza di trasparenza e l’esclusione di altre parti interessate dal processo”. L’andamento delle relazioni con gli Stati confinanti, in cui si innestano aspetti molto delicati a riguardo della tolleranza religiosa, è un dato che condiziona pesantemente la condizione del Sud Sudan.

Nel Paese non c’è solo l’eterna lotta tra le popolazioni del nord e quelle del Sud, osserva l’agenzia Aci Stampa, poiché “ci sono almeno 64 diverse etnie, ma il conflitto interno è soprattutto tra etnie dinka e nuer, che rappresentano la maggioranza della popolazione”.  Per questa ragione monsignor Kussala chiede a tutte le parti di “astenersi dall’uso di un linguaggio incendiario e intimidatorio. Le parti in conflitto dovrebbero dimostrare con le azioni e con le parole che si impegnano per la pace”. E non trascura di rivolgersi complessivamente ai popoli del Sud Sudan e del Sudan con l’appello a “tessere una rete per costruire un futuro migliore per entrambe le nazioni”.

Il salesiano Jim Comino conosce da decenni la fatica di costruire iniziative di sviluppo e di formazione affinché i giovani prendano in mano il loro futuro.  “Siamo impegnati ad aiutare i rifugiati attraverso attività di riconciliazione e percorsi spirituali per ottenere la pace fra le diverse tribù” ci spiega in una lettera. “Cerchiamo di dare ispirazione e speranza per un futuro più umano vivendo lo Spirito cristiano”.

 C’è il soccorso immediato, “una corsa disperata contro il tempo” come la descrive il salesiano. Al contempo si attivano progetti agricoli per vivere ed essere autonomi nella propria terra, evitando l’emigrazione clandestina in Europa. Si calcola che un terzo della popolazione abbia lasciato i propri villaggi; il dramma della fame colpisce almeno 15.000 persone nel campo profughi, fra i quali 5.000 bambini che frequentano la scuola. “Vogliamo garantire almeno un pasto al giorno, per molti l’unico. Sovente i più deboli svengono durante le lezioni” spiega Comino.

La pace si costruisce con un’economia solidale: “solo rendendoli autosufficienti si potrà porre fine alle lotte tribali” afferma Comino. Il vescovo Kussala a sua volta evidenzia che la preghiera ha un compito determinate: “Il Santo Padre, dal giorno in cui è scoppiata una delle più lunghe e insensate guerre, non ha mai smesso di pregare, di lanciare appelli e di lavorare per porre fine al conflitto nel Sud Sudan. Se l’accordo di pace è stato firmato mentre eravamo sotto il suo amore paterno, possiamo ben dire che questo è un miracolo!”.

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