L’ottobre missionario della Chiesa cattolica, e la domenica 18 che vedrà convergere la preghiera da tutto il mondo intorno al Papa, quest’anno è caratterizzato da due elementi:
-la inattesa collocazione temporale nella pandemia da Covid-19;
-la ri-scoperta dell’ispirazione delle opere originali della Chiesa.
Di riflesso, anche il mondo salesiano declina il suo “ottobre missionario” (che in realtà si configura per un’intera stagione, tanto da poter parlare di un “autunno missionario”) secondo questi due elementi.
Un virus da vincere anche con una maggiore fratellanza
Il primo, la pandemia, è forzato dagli eventi che ormai quasi un anno fa hanno incominciato a infliggere malattia e morte in Cina e poi nel resto del mondo, secondo la frequenza e l’intensità degli scambi con quella nazione. Inevitabilmente il “sentiment” con il quale stiamo passando in rassegna le attività missionarie salesiane è marcato dal Covid-19. Il suo dilagare nei Paesi a più alta densità abitativa (Brasile e India), il suo colpire le persone più fragili, il contrasto ad esso condizionato dalle condizioni generali di igiene e di alimentazione, sono dati che hanno presto allarmato i salesiani e li hanno resi a loro volta snodi di informazione e di intervento su quanto stava accadendo soprattutto nelle aree più periferiche delle città e delle regioni, fra i piccoli e le loro famiglie e fra gli emarginati delle diverse latitudini.
“Anche noi oggi non vogliamo restare seduti a guardare – ha detto pubblicamente don Ángel Fernández Artime, Rettor Maggiore dei salesiani nelle prime settimane di marzo 2020 – sento che questa sia l’occasione perché come Famiglia possiamo alzare le nostre mani e la nostra preghiera al Padre per intercessione di Maria Ausiliatrice”. Da qui una lunga novena che è sfociata in una specialissima Festa di Maria Ausiliatrice il 24 maggio.
“La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga” ha scritto il Papa a Pentecoste nel dettare le linee guida dell’ottobre missionario. Ciò che suggeriva di fare in questo tempo è di cogliere le opportunità che si celano in un dramma: “Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri. E la preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per tutto il creato”. Ed è proprio quanto hanno fatto i salesiani con i loro collaboratori per rispondere a un bisogno urgente molte volte colorato di disperazione.
Affermare che la “missione” è anzitutto prenderci cura di noi stessi per aprirci a una dimensione di relazione è come sintetizzare ciò che dà origine al grande sforzo che la Chiesa fin dalle origini ha messo in atto. La notizia della resurrezione ha fatto bene agli apostoli, che l’hanno ricevuta per uno speciale privilegio, e subito dopo si è propagata nelle comunità ebraiche di Gerusalemme e delle altre città dove rientrarono coloro che avevano assistito agli straordinari segni della discesa dello Spirito Santo. Ha fatto bene alle successive generazioni alle quali quella buona notizia è stata portata di bocca in bocca, di cuore in cuore, fino a noi.
La via delle buone pratiche
“La Chiesa, sacramento universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in ogni luogo e tempo”. È ancora Papa Francesco a indicare l’ispirazione che, dal profondo della Tradizione, può servire al tempo presente.
Si sa che una caratteristica distintiva della cattolicità è quella della creazione di opere che traducano la spirituale essenza dell’Amore in opere che mettano quell’Amore a servizio delle persone. Ci sono opere che riguardano direttamente la salute dei corpi, oltre che quella dell’anima; ci sono quelle che soccorrono chi fa più fatica a rimanere al passo con la società. Sempre presenti in varia forma nella Storia anche le opere che si occupano della formazione negli ambiti specifici (la famiglia, la scuola) e in quelli inventati secondo le circostanze e i soggetti: fra questi gli oratori e i centri giovanili.
Il messaggio del Rettor Maggiore per la Giornata Missionaria Salesiana da parte è molto esplicito a riguardo di quale sia la matrice delle opere – e dunque della missione nel mondo – della congregazione: “… siamo nati all’Oratorio. Torino – chiesa di San Francesco d’Assisi, 8 dicembre di 1841, Bartolomeo Garelli. Questo è stato il nostro inizio. E qualunque altro nuovo inizio a nome di Don Bosco non può privarsi di questo stampo oratoriano. Ogni nuova impresa missionaria della Congregazione non può scappare a questo, direi, utero dal quale tutti noi proveniamo”.
La missione peculiare dei salesiani è il servizio ai giovani nello spazio del loro tempo libero. Questo è il terreno per incontrare annunciare l’amicizia di Dio alle nuove generazioni, purtroppo immerse in un contesto nel quale lo stesso nome “Gesù” è sconosciuto alla maggioranza. Come in Africa o in Sud America, in Oceania o in Asia, anche nella nostra Europa, nella nostra Italia, l’oratorio è davvero una frontiera della missione: verso i figli di chi vive qui da molto tempo e verso i giovani che qui sono giunti con le correnti migratorie degli ultimi anni. L’oratorio è spazio di missione perché affronta le domande dei giovani sull’esistenza e dunque sul suo senso e sul come affrontarla secondo il progetto di Dio. Ed è una sorta di laboratorio del futuro, di un’umanità globalizzata nel senso positivo del termine. Come ha affermato Don Guillermo Basañes (Consigliere per le Missioni): “Alcuni dei nostri oratori/centri giovanili in Europa sembrano davvero spazi delle “Nazione Unite”.