Non abbandonare i ragazzi: questo l’impegno al tempo del coronavirus

Prima o poi sarebbe arrivato anche da noi“: sono le parole con le quali don Giampiero De Nardi ci aggiorna sulla diffusione del coronavirus in Guatemala.

Ci sono stati i diversi casi di contagio” fa eco dall’Etiopia don Angelo Regazzo.

Quello che avevamo prefigurato a Missioni Don Bosco già a febbraio – non per particolare finezza di analisi ma per le evidenze del quadro che possiamo vedere – si sta purtroppo verificando.

Dove le condizioni di igiene e di profilassi sappiamo essere più precarie, dove il sistema sanitario non ha caratteri di accessibilità per tutta la popolazione (anche per ragioni economiche), dove l’informazione non si distribuisce capillarmente fino ai villaggi e viene facilmente distorta (anche per malsani interessi) ci attendevamo una diffusione rapida del virus.

Il mondo salesiano sta facendo la sua parte per prevenire e soccorrere in questa emergenza sanitaria globale. Da questo punto di vista, pur avendo esso stesso subìto l’impatto dell’epidemia, il Capitolo Generale che si è aperto a Torino a febbraio (chiuso in anticipo sul programma) ha consentito di creare una sensibilità ai massimi livelli possibili: tutti gli ispettori e i delegati hanno potuto percepire la gravità dell’impatto e cogliere la portata della reazione delle istituzioni del governo. L’Italia, primo Paese europeo colpito, ha fatto da modello per comprendere il fenomeno e per delineare i comportamenti corretti per contrastarlo.

Rientrando nelle loro sedi, i 242 partecipanti sono così diventati primi agenti di sensibilizzazione delle loro comunità e di adeguamento della gestione di scuole e parrocchie ai dettami della prevenzione. Comportamenti che l’economo generale, Jean Paul Muller ha ricapitolati e raccomandati in una lettera diffusa in tutte le ispettorie. La data è quella del 19 marzo, festa di San Giuseppe, particolarmente cara ai salesiani che si fanno padri dei ragazzi che accolgono.

E proprio la paternità, nello spirito del grande Santo e di Don Bosco, è quella che osserviamo nei messaggi che i missionari ci stanno inviando.

Ad Addis Abeba don Angelo Regazzo ha accolto tutti i ragazzi che poteva nel Don Bosco Center prima che fosse impedito di uscire con il pulmino a di prelevarli dalla strada come fa normalmente. “Ci siamo messi in quarantena volontaria con tutti i nostri monelli buoni, organizzando lavori manuali, classi speciali, tornei di sport, musica, proiezione di bei film educativi” ci scrive. “Abbiamo cibo, acqua, diesel sufficienti per fare andare i generatori, le pompe d’acqua e i frigoriferi per diversi mesi. Abbiamo sapone. In abbondanza per lavarci, alcool per disinfettarci, paracetamolo e medicinali di pronto soccorso… nessuno esce dal recinto e quei pochi che entrano (guardiani, cuoche e operatori sociali) devono lavarsi le mani con sapone all’entrata e disinfettare le scarpe con varechina e alcool”.

“Stiamo vicini alla gente” scrive don De Nardi. “Ci siamo riuniti e abbiamo pensato che la messa sia l’unico luogo in cui la gente si riunisce e dove la gente può essere informata su come fronteggiare l’emergenza. Oggi sono stato nel villaggio di Belèn. Non più di 20 persone alla messa. Sentono le notizie, mediate dal passaparola, per cui molte sono pure invenzioni”.

Dove si può praticare, la vita religiosa accompagna questo momento sul piano morale ma anche su quello materiale. “La mia omelia” racconta il salesiano in Guatemala “si è trasformata più in una spiegazione medica. Ma credo che in questi casi, il bene della persona e la cura venga di pari passo alla spiegazione della Parola di Dio. Anche perché, per quel poco che ho capito della fede cristiana, dividere il Pane dal pane, le cose del cielo dalle cose materiali non è da Dio. Per cui il servizio alla gente è il modo concreto di testimoniare la nostra fede”.

Un missionario non si smentisce nel momento dell’emergenza. C’è anche la consapevolezza che incontrare le persone, benedirle, aiutarle può determinare qualche rischio: proteggendo le famiglie, la vicinanza è un dovere. “Don Bosco farebbe lo stesso. Son sicuro che Maria Ausiliatrice ci proteggerà” dice don Regazzo. “Noi salesiani abbiamo la messa giornaliera e tutte le nostre pratiche di pietà che sono la nostra forza in una situazione di emergenza come questa. Invitiamo i ragazzi, quasi tutti musulmani e ortodossi, a pregare secondo le loro credenze religiose. Le uniche preghiere che recitiamo insieme sono il Padre Nostro e l’Ave Maria che fan bene anche ai Musulmani per tenere lontano il corona virus. invitiamo i ragazzi a stare allegri e a credere nella vita. E conclude: “Perciò siamo convinti che andrà tutto bene!”.

A esprimere parole di approvazione per questa vicinanza è il catechista della cappella di Belén , don Juan, un signore anziano che sostiene la comunità da molti anni: rivolto a don De Nardi e – possiamo dire a tutti i missionari che al temine della celebrazione ha detto: “Grazie, padre, che è venuto a trovarci e non ci ha abbandonati.

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