Mozambico: viaggio missionario tra le opere salesiane

Viaggio missionario in Mozambico

 

Arrivo a Maputo

Sono arrivato a Maputo, capitale del Mozambico. Il primo aneddoto che vi racconto mi è capitato appena sbarcato in aeroporto, alla verifica del passaporto. La poliziotta, gentile e cortese, mi chiede di prendere le impronte digitali con un mini scanner che rileva un dito alla volta. Parto con il pollice destro, tutto bene. Passo a quello sinistro, niente da fare. L’impronta non si vede. Riproviamo. Nulla di visibile. Proviamo con le altre dita della mano destra e poi di quella sinistra. Non c’è verso di lasciare un’impronta in Mozambico! Io non so se ridere o cominciare a preoccuparmi quando la poliziotta, leggendo la carta che avevo appena compilato nella quale avevo indicato che soggiornavo presso la casa Don Bosco, esclama: “Don Bosco! Io lo conosco. Vada padre, l’impronta in Mozambico l’ha lasciata lui anche per voi“.

Potenza del nome di Don Bosco! È un lasciapassare formidabile in ogni parte del mondo.

La capitale del Mozambico, Maputo ha circa due milioni di abitanti. Sono persone gentili ed accoglienti, ordinate e silenziose. Beh poi tanto bravi tutti quanti non devono essere, a giudicare dai numerosi recinti delle case con il doppio filo spinato sulla sommità e dai numerosi terrazzi degli appartamenti protetti da sbarre ed inferriate… Ascoltarli parlare in portoghese per me è come ascoltare una canzone pop inglese. Bella, orecchiabile, musicale ma non capisco niente di quello che dicono. Come dai portoghesi hanno ereditato la lingua, così dagli inglesi del vicino Sud Africa (il confine dista meno di cento chilometri da Maputo) hanno ereditato la guida in strada a sinistra. Comunque l’impressione è quella di un paese tranquillo ed ordinato in cui la povertà c’è, e si vede, ma c’è anche tanta dignità e rispetto.

Arrivo ad Inharrime

Da Maputo siamo saliti per circa 400 km verso nord per visitare l’opera salesiana di Inharrime, nel distretto di Inhambane.

I salesiani hanno un bel centro di formazione professionale inaugurato nel 2002 che forma circa 300 allievi (maschi e femmine) nei settori meccanico, elettrico, falegnameria ed edile. Accolgono poi una trentina di questi ragazzi e ragazze in un ostello adiacente la scuola, perché questi allievi vengono da troppo lontano e non possono fare i pendolari. Grazie alla Provvidenza costruiscono una piccola casetta alla volta per 6 studenti (3 X 5 metri) in muratura e con il tetto in lamiera in cui ci stanno tre letti a castello. Non tutti però hanno già la casetta in muratura, alcuni dormono ancora in capanne fatte di foglie di palma intrecciate. Vedendo queste piccole case fragili e accanto quelle in muratura, mi è venuta in mente la favola dei tre porcellini. Solo che qui il lupo cattivo sono la pioggia e il vento forte, che di notte sferza questa zona costiera con rovesci improvvisi d’acqua e vento molto forte. I salesiani accanto alle casette stanno progettando anche un locale adibito a cucina e una tettoia comune sotto la quale far mangiare i ragazzi. I salesiani danno solo la stanza per dormire e garantiscono l’assistenza salesiana, ma i ragazzi devono farsi da mangiare da soli e ora lo fanno sotto una frasca traballante e poi mangiano seduti su un mattone di cemento sotto gli alberi.

Dall’alta parte della strada c’è una splendida opera delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice, sorta poco dopo la nostra, ma diventata enorme in poco tempo, grazie alla intraprendenza di una suora portoghese unica: suor Lucilia. Come è tipico delle case delle suore, tutto è in ordine, pulito, con i fiori… Ma la cosa più bella sono i 2.300 studenti (maschi e femmine) che ogni giorno frequentano le scuole primarie, secondaria e pre-universitaria.

Le missionarie salesiane hanno poi un grande convitto che accoglie 120 ragazze. Di queste, 70 sono in convitto perché abitano lontano dalla scuola, le altre 50 invece sono affidate alle suore perchè orfane.

Noi di Missioni Don Bosco, abbiamo un gemellaggio con questa opera salesiana e manteniamo in collegio circa 100 bambine con la borsa di studio/adozione a distanza del valore di 1 euro al giorno (30 euro mensili, 360 euro annuì).

La visita alla bella opera, suor Lucilia l’ha conclusa in cappella assicurandoci che settimanalmente le suore fanno un’ora di adorazione mettendo come intenzione la preghiera per i bisogni e la gratitudine per i benefattori della loro opera, e fra questi ci siete anche voi, cari amici.

Le opere salesiane in Mozambico

Le opere salesiane in Mozambico hanno tutte un centro di formazione professionale. La cosa non stupisce, visto che è proprio l’apprendimento di un lavoro che costituisce lo strumento principe per dare dignità alla vita dei giovani che si affacciano alla vita adulta. Certamente si tratta di un impegno grande e gravoso perché mantenere i laboratori non è cosa facile…

Abbiamo visitato l’opera salesiana di Matola, un municipio della cintura urbana di Maputo, con gli immancabili laboratori di elettricità, saldatura e falegnameria. Lo frequentano 120 allievi, maschi e femmine. Il direttore ci ha detto che i ragazzi di questo centro trovano subito un lavoro alla fine del percorso formativo perché, così riferiscono gli imprenditori che li accolgono per lo stage, gli ex allievi formati dai salesiani hanno qualità che non si trovano da altre parti.

Padre, gli dicono, quello che noi cerchiamo non sono le competenze tecniche. In soli tre mesi di lavoro in azienda i giovani imparano il compito che devono svolgere. Quello che noi cerchiamo dai giovani che escono dalle vostre scuole, e che soltanto i vostri manifestano così fortemente, è il rispetto delle attrezzature, la puntualità, la collaborazione nel lavoro di squadra, l’onestà…. È interessante come le medesime caratteristiche le cerchino gli imprenditori del Mozambico e quelli di Treviso, Vicenza o Cuneo. Al di là del colore della pelle, della religione professata, della latitudine, ovunque… il bene è bene e si riconosce subito. È il male che purtroppo spesso si insinua travestito, camuffato da bene, per ingannarci.

La città di Namaacha

Nella visita alle opere salesiane nel Mozambico del sud, nella zona di Maputo, abbiamo visto la città di Namaacha dove ora i salesiani hanno il noviziato. Namaacha si trova a circa 70 km a sud ovest di Maputo, proprio al confine con lo stato di Swaziland e a pochi chilometri dal confine con il Sudafrica. È in collina e per questo il clima è mite ed asciutto, rispetto alla costa mozambicana umida e caldo afosa.

Entrando in questa cittadina sembra di fare un salto indietro nel tempo, nella prima metà del Novecento. Era stata scelta dalla borghesia coloniale portoghese come luogo di villeggiatura, specie nei week end, perché relativamente vicina alla capitale e per la salubrità del luogo. L’impianto urbanistico e gli edifici sono tipicamente coloniali. Non ci sono palazzi in cemento, né baracche di lamiera. Gli edifici monumentali del centro solo eleganti e riflettono lo stile portoghese, sobrio, massiccio e con qualche elemento di ricercatezza nei particolari. Le case poi sono tutte ville singole con giardino, ad un solo piano rialzato, con una grande veranda chiusa con le vetrate all’inglese, il tetto in tegole di terracotta. I viali sono ampi ed alberati a doppio filare. Un incanto.

Dalla rivoluzione del 1975 che portò il Mozambico all’indipendenza dal Portogallo, tutto in questa località, è rimasto com’era. Tutto o quasi tutto… Sì, perché noi salesiani siamo arrivati in questo posto nel 1952, invitati dal governo coloniale a gestire il Collegio Superiore maschile frequentato quasi esclusivamente dai figli dei coloni portoghesi. E con noi sono arrivare anche le nostre suore, Figlie di Maria Ausiliatrice, per prendersi cura delle ragazze della medesima classe sociale.

Due edifici imponenti e veramente belli, erano i collegi dei figli di Don Bosco a Namaacha.

Con lo scoppio della rivoluzione e l’avvento del regime totalitario comunista che prese il potere, tutti i coloni fuggirono dal Mozambico. Le loro proprietà furono nazionalizzate. Ai salesiani e alle suore fu imposto di abbandonare il paese. Il governo anticlericale riteneva che l’educazione del popolo appartenesse esclusivamente allo stato e quindi revocò la gestione dei due collegi e l’assunse direttamente.

Immaginate il dramma di questi uomini e donne, consacrati ai giovani, che da oltre venti anni hanno educato e istruito molti ragazzi e ragazze in quel posto, fra quelle mura maestose e solenni, che da un giorno all’altro devono prendere le loro povere cose ed andarsene, subito!

Non tutto però è perduto. Si apre uno spiraglio di possibilità di restare. Chi può restare è un unico salesiano, un coadiutore, il signor Pedrosa, che ora ha 85 anni e vive tutt’ora a Namaacha. È accettato dal regime perché non è un prete. Viene assunto e stipendiato dal regime per coordinare le attività educative del collegio. Che forza che è Don Bosco: ci buttano fuori dalla porta, e noi rientriamo dalla finestra!

Immaginate lo stato d’animo di questo uomo, abituato alla vita in comunità, con un direttore, un compito educativo da svolgere assieme ad altri salesiani, che da un giorno all’altro si trova a vivere da solo in una stanzetta che gli viene concesso di continuare ad usare dentro il collegio. Il signor Pedrosa ci ha raccontato di avere accettato questa possibilità di restare, confidando che il trambusto della rivoluzione passasse presto e i suoi confratelli potessero ritornare e riprendere l’attività di prima. Ha dovuto attendere quasi vent’anni prima che i salesiani nei primi anni ’90, passato il periodo del regime totalitario prima e della guerra civile poi, tornassero a Namaacha. Non più nel collegio maschile, diventato nel frattempo Scuola superiore della città, ma in un terreno adiacente nel quale hanno costruito il noviziato salesiano. Ora il Signor Pedrosa si gode la sua vecchiaia sereno e felice, attorniato dai giovani che aspirano alla vita consacrata e che da lui ascoltano incantati la storia della sua vita, semplice e fedele nonostante tutto.

Con un po’ di orgoglio i suoi confratelli ci hanno detto anche che per ben 11 anni consecutivi il Signor Pedrosa ha ricevuto la medaglia dal regime comunista, come miglior educatore ed insegnante. Qualcuno, maliziosamente, ha detto che anche lui si era convertito al comunismo. Il Signor Pedrosa, saggio uomo, non ha smentito né confermato. Si è limitato ad accennare un sorriso bonario, quasi a dire: parlate facilmente voi ora,  che non avete vissuto questi eventi tragici….

Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco

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