In bilico fra paura e speranza, fra degrado e solidarietà. L’immagine che Monica e Flor di Missioni Don Bosco portano dal Venezuela è fatta di visioni radicalmente diverse. Vedere da vicino la povertà di una popolazione immersa in una natura favorevole a un’agricoltura florida, con un sottosuolo ricco di petrolio, è stato impressionante per Flor.
Aver incontrato tanti giovani del mondo salesiano, compresi numerosi seminaristi, lascia invece spiragli di speranza che Monica sottolinea. Pochi giorni, condizionati dagli ostacoli della pandemia, per una visita di ordinaria solidarietà: portare di persona la conferma della vicinanza di Missioni Don Bosco all’impegno che i salesiani del Venezuela stanno sostenendo per arginare la grande crisi del Paese nelle realtà alla loro portata.
Lavorare non costituisce una garanzia di benessere
Ben percepibile c’è una rabbia diffusa, che deriva dall’impotenza. La moneta nazionale, il bolivar, che non vale alcunché. Le famiglie sopravvivono per le rimesse dei parenti emigrati negli altri Paesi sudamericani. Con lo stipendio di un mese si può comprare un paio di scarpe, di valore pari a 75 euro: il resto del fabbisogno è coperto non certo dai risparmi, che l’inflazione ormai ha reso inconsistenti per tutti, ma dalla generosità di persone e di istituzioni capaci di condividere.
“I salesiani stanno cercando risorse per garantire stipendi all’altezza del bisogno, per non perdere gli insegnanti delle loro scuole” spiega Monica; inoltre se i giovani non salgono sul treno delle poche possibilità di istruzione che sono rimaste, l’intero Paese non potrà mai risollevarsi anche in presenza di auspicati cambiamenti politici.
Gli sforzi di comporre gli interessi delle classi dirigenti attuali con le rivendicazioni delle opposizioni sono vanificati da una reciproca mancanza di fiducia. L’ombra di pesanti condizionamenti internazionali sembra sovrastare (o assecondare) la volontà delle parti opposte.
Avere cittadinanza attiva in questa condizione è una sfida altissima. “Si cerca di sperare, a fronte di ripetute delusioni. Ma rimane la fiducia che qualcosa di decisivo dovrà pur capitare per uscire dal tunnel”.
Il muro che divide ricchi e poveri
“Non devono sentirsi soli” rimarca Flor, e attraverso i salesiani arriva la solidarietà di tanti dall’Italia; “abbiamo visto distribuire cibo, tenere aperti gli oratori come spazi di sicurezza per i piccoli e allo stesso tempo per integrare l’alimentazione in famiglia”. Le parrocchie a Caracas sono estese quanto un quartiere, ma i Figli di Don Bosco sono costantemente ingaggiati nel servizio. “Fra loro i giovani seminaristi” sottolinea Flor, che con Missioni Don Bosco sostiene la loro formazione mediante le borse di studio; “sono il motore nelle varie realtà e regalano continuamente un sorriso”.
Tra le limitazioni alla libertà di azione dettate dal governo e dalle sue scelte in campo economico, l’espansione della pandemia da Covid-19 ha reso necessario ridurre anche la portata di certe iniziative. “Alla Dolorita, il barrio più rischioso della capitale, possono accedere pochi ragazzi alla volta, come abbiamo constatato sul campo da basket” racconta Monica. “I seminaristi allora vanno nei quartieri periferici a organizzare i giochi nelle piazzette e in tutti gli angoli liberi, e così incontrano i ragazzi dell’oratorio”.
A proposito delle differenze macroscopiche nella società in un Paese che presenta un aspetto di modernità paragonabile a quella delle città europee, Flor è rimasta colpita dall’ingresso in un barrio definito da un vero e proprio portone che si apre lungo il muro di divisione dalla zona residenziale e degli uffici. “Ho attraversato quel portone e mi sono trovata in un altro mondo. Passavo da un quartiere con i condomini classici delle nostre città a una baraccopoli abitata dagli emarginati”. Un’altra immagine si è fissata nei suoi ricordi: da una collina di Caracas abitata da benestanti la vista sulla miriade di luci corrispondenti alle casupole del barrio sottostante dove formicolava la vita dei poveri.