Mater Misericordiae, nucleo spirituale della missione

Quella che noi chiamiamo “par­tenza missionaria”, vista dall’Argentina è “l’arrivo missiona­rio”: i 10 salesiani – accompa­gnati dalle suore di Savona per interloquire più facilmente con il mondo femminile (più avanti sarà maturo l’invio an­che delle Figlie di Maria Ausiliatrice), sbar­cano a Buenos Aires il 14 dicembre 1875.

Si compie così il primo passo avviato a inizio di novembre di quell’anno, quando papa Pio IX aveva ricevuto Don Bosco per defi­nire il programma della spedizione. Ora sono davanti alle casette che costituisco­no l’area del porto dove approdano ogni giorno centinaia di immigrati. Li accoglie il parroco di San Nicolas, don Pietro Cecca­relli, su incarico del vescovo Federico León Aneyros. Inizialmente sono ospiti del vicino albergo “Globo”, poi don Cagliero andrà a vivere, in qualità di superiore della missione, nella casa del parrocchiano José Francisco Benitez; don Andrea Belmonte e don Giu­seppe Baccino prenderanno dimora nella chiesa Mater Misericordiae, a partire dal 19 dicembre.

Siamo in quello che costitui­sce il centro della Buenos Aires del tempo, il quartiere di San Telmo. La città aveva circa 200.000 abitanti (più o meno gli stessi della Torino dell’epoca). Gli italiani sono il 40%, e costituiscono la comunità più numerosa fra quelle di immigrati dall’Europa. Tutta­via, la fortuna cercata in America per loro era ancora tutta da costruire: vivevano in con­dizioni di povertà, dentro abitazioni spes­so condivise fra più famiglie.

La parrocchia si trova immersa in un clima di ostilità verso la Chiesa che aveva portato i parroci prece­denti ad abbandonare il territorio. Minacce e aggressioni fisiche provenivano da tensio­ni generali sulle quali soffiava la massoneria anticlericale: in quel tempo, nella capitale argentina si registra la presenza di alme­no cinque logge; al loro seguito si trovano anche le classi popolari, unitamente a una buona porzione del mondo politico e mili­tari. Il governo sta conducendo la cruenta “Conquista del Deserto” (si dava a credere che la Patagonia fosse praticamente disabi­tata) attraverso una serie di campagne ar­mate volte a decimare i popoli indigeni per incorporare le loro terre nella Repubblica nata vent’anni prima. I salesiani vengo accettati grazie al loro impegno educativo e sociale, ma non è se­condario il loro coraggio di fronte a qualche sasso lanciato dai più facinorosi. La fiducia acquistata in mezzo alla popolazione locale diventa il loro scudo.

Alla “Mater” si costi­tuisce il nucleo spirituale della missione, composto di preghiera e di azione: servizio religioso per gente considerata unicamente braccia da lavoro e fonte di popolamento di una terra sconfinata. Don Belmonte e don Baccino restituiscono ai parrocchiani la dignità di persona, attingono alle radici religiose fatte delle tradizioni vissute in pa­tria. E iniziano a dare corpo a un servizio ai più giovani ispirato all’esperienza di Val­docco e degli altri oratori già sorti in Italia. Si spendono senza risparmio: don Baccino, estenuato dai ritmi intensissimi del servi­zio pastorale, morirà con la speranza di rivedere Don Bosco in Paradiso.

 

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