Maschere che nascondono e che rivelano: mascherine e mukinka

Il Museo Etnografico Missioni Don Bosco resterà chiuso ancora per un po’, per questo motivo ogni lunedì vi presenteremo un oggetto della collezione, ciascuno legato alla storia e alle memorie di una comunità, ma anche al presente e alla memoria collettiva. Scopriremo insieme ciò che hanno da dirci sulla situazione straordinaria che stiamo vivendo.

Da qualche mese abbiamo imparato a vedere e filtrare il mondo attraverso una mascherina. In Paesi come il Giappone, la Cina, la Corea non è una nuova abitudine: indossarla è un comportamento presente nel registro culturale ed è sinonimo di rispetto per gli altri, che si vuole tutelare anche solo dal contagio di un banale raffreddore.

In Italia la mascherina è stata immediatamente percepita come un elemento estraneo, fastidioso, scomodo. Le si è attribuita un’accezione negativa, associata a un sentimento di paura e di ansia. È diventata un’icona, anzi l’Icona della pandemia: fatta indossare persino alla Gioconda in una delle rivisitazioni delle opere d’arte per sensibilizzare in merito all’uso dei dispositivi di sicurezza ed elogiare l’impegno dei tanti operatori sanitari impegnati in prima linea, è stata ben presto reinterpretata in uno status symbol, complice la creatività di stilisti, artisti e firme prestigiose.

Da un lato, quindi, la mascherina ci ricorda la nostra fragilità e la presenza costante di un nemico da cui difenderci, dall’altro sfida la nostra volontà di non uniformarci e di comunicare un pensiero, un’idea, un’emozione. Perché la maschera, più che nascondere, rivela. Se vogliamo, è un potente mezzo di comunicazione che permette di mostrare un lato della propria personalità.

È un tratto comune a molte culture il bisogno individuale di “togliersi la maschera” di tanto in tanto, di rinunciare alle insegne del proprio ruolo e del proprio status per indossare una maschera diversa, più visibile e ben identificabile.

Il punto è che oggi dobbiamo rendere quotidiana un’esperienza che associamo allo straordinario.

In molte società tradizionali in occasioni rituali in cui sono ribaditi i valori e il senso di identità dei membri di una comunità si fa ricorso alle maschere, manifestazioni del mondo degli spiriti e delle forze della natura. Si possono indossare maschere in occasione di guerre, per incutere terrore al nemico, in eventi funebri, come ricordo del defunto, oppure in momenti ludici, come gli spettacoli, per comunicare con immediatezza il carattere e la funzione di un personaggio.

La maschera rappresenta un efficace strumento per stabilire una relazione tra gli uomini e le divinità: consente infatti di abbandonare le convenzioni spazio-temporali e di proiettarsi all’interno di un mondo ‘altro’, dove si perde la propria identità per assumere quella rappresentata. La maschera è infatti un mezzo con cui captare la forza soprannaturale degli spiriti e appropriarsene, utilizzandola a beneficio della comunità.

Nel Museo Etnologico Missioni Don Bosco nelle vetrine dedicate all’Africa è conservata una maschera mukinka della Repubblica Democratica del Congo: è fatta di legno rivestito con placche rettangolari di rame, i capelli sono matasse di paglia e in corrispondenza del mento vi sono due trecce di fibra vegetale terminanti con matasse simili a quelle usate per i capelli; ha occhi quadrangolari, denti aguzzi, dipinti di bianco come le orecchie. La copertura in rame è segno di ricchezza e di prestigio.

È indossata dai membri di società guerriere e dai capi villaggio nel corso di riti di iniziazione e durante le invocazioni agli spiriti. Si pensa che il danzatore che la indossa acquisisca poteri soprannaturali.

Attraverso l’immedesimazione nelle caratteristiche delle maschere indossate e la messa in scena di un ordine sovvertito si celebra il rispetto delle regole della convivenza sociale per ristabilire nella comunità il senso del bene e del dovere.

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