“Sono tanti i martiri di oggi, sono di più dei martiri dei primi secoli”: lo ha detto papa Francesco a fine aprile di quest’anno nella sua catechesi dedicata alle beatitudini cristiane.
Visto dall’Italia, il fenomeno non sembrerebbe neppure immaginabile ai nostri tempi. La tolleranza, sia quella dei sistemi culturali sia quella dell’agire ordinario della gente, impedisce che un cristiano, ma anche l’appartenente a qualsiasi altra tradizione religiosa, debba pagare con il proprio sangue il prezzo della professione della sua fede. Eppure il fenomeno esiste, e di tanto in tanto esplode in episodi così violenti in qualche angolo di mondo da costringere gli spazi della nostra informazione a segnalarlo e a dare conto della sua inaspettata ampiezza.
La Chiesa cattolica ha celebrato ieri i suoi “fondatori”, gli apostoli Pietro e Paolo. Oggi celebra i Primi Martiri: fondatori anch’essi della comunità dei cristiani. Anzi, il loro sangue ha fecondato la testimonianza delle prime assemblee dei credenti in Cristo, che si sono purificate nella coscienza di sé e rafforzate nel coraggio di “uscire” dai luoghi di culto.
È una storia che, iniziata al tempo dell’Impero romano, ha attraversato la storia dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa con le lotte per il potere e con le conquiste di ricchezze naturali e la migrazione di popoli, fino al grande “salto” della conquista delle Americhe e dell’Oceania. A seconda del valore dato alla vita e all’individuo, ci sono state molte varianti del modo di considerare “pericolosa” o “nemica” la fede cristiana; la persecuzione di minoranze o il contrasto a interpretazioni dissonanti si sono insinuati all’interno stesso delle Chiese generando lotte fratricide. Oggi la diffusa consapevolezza dei diritti umani dovrebbe costituire un argine all’uso della violenza per l’affermazione di un gruppo umano sull’altro; eppure le antenne sensibili degli osservatori registrano le scosse continue del terremoto causato dagli integralismi e dell’ignoranza.
Una persecuzione sottile e diffusa
Cristian Nani, direttore di Porte Aperte/ Open Doors, una Onlus che dal oltre 65 anni monitora la reazione alla presenza cristiana nel mondo, spiega: “Quello che è costante è l’aumento della pressione che riguarda la vita privata e la vita pubblica nella comunità e nella Chiesa. Secondo vari parametri che noi analizziamo, si registra un aumento della pressione. In almeno 73 nazioni i cristiani sperimentano un alto livello di persecuzione”. Nell’ultimo rapporto annuale redatto da Porte Aperte, diminuisce il numero di cristiani uccisi (da 4.305 a 2.983 vittime). La Nigeria rimane il Paese più pericoloso a causa degli attacchi delle tribù Fulani e degli islamisti di Boko Haram: al secondo posto compare la Repubblica Centrafricana in guerra, al terzo lo Sri Lanka, dove un anno fa morirono oltre 350 persone in più attentati nelle chiese il giorno di Pasqua.
Se sono diminuite le morti e le uccisioni, crescono tuttavia altre forme di persecuzione: discriminazioni sociali, minacce personali, esclusione dal lavoro, dalla sanità e dalle cure mediche a causa del credo professato, regole pubbliche che proibiscono la costituzione formale di Chiese, disposizioni legislative che dissuadono pesantemente dalla conversione al Cristianesimo.
Il “caso” Sri Lanka
È una persecuzione più raffinata di quella affidata alla violenza fisica perché tocca l’andamento quotidiano della vita di famiglie e di comunità. Fr. Chalana Attidiy, salesiano dello Sri Lanka, è testimone della violenza espressa il 21 aprile 2019 ma anche delle strategie che hanno portato a quegli eventi terribili. Un Paese di 20 milioni di abitanti, per due terzi di tradizione buddhista e per il resto appartenenti alle diverse confessioni cristiane, all’induismo e all’islam, ha visto l’infiltrarsi metodico di numerosi imam provenienti dall’Egitto e dalla Penisola arabica. Formati al fondamentalismo dei Fratelli Musulmani, hanno instillato nei giovani il senso di una opposizione radicale agli “infedeli”. È stato così possibile selezionare i combattenti di una “guerra santa” che, lontana dalla matrice spirituale, si è espressa con gli attentati suicidi. La situazione ora sembra tranquilla, ma c’è chi è pronto a soffiare sul minimo contrasto sociale ed etnico per rinvigorire i dissapori antichi e recenti.
Le Chiese cristiane insieme tengono vivo un tavolo per la pace nello Sri Lanka, e il dialogo fa qualche passo avanti radunando i leader delle diverse religioni. Ma sotto le dichiarazioni ufficiali si nascondono pensieri di supremazia, strategie per la conquista del potere mediante la progressiva occupazione dei posti della pubblica amministrazione e della rappresentanza politica. Gli stessi iman sembra raccomandino ai giovani di scalare i corsi di studio e le selezioni statali per arrivare per via legale a realizzare quel condizionamento della Shari’a sull’intero corpo sociale.
Nella grande isola dell’Oceano Indiano la miccia è sempre pronta a riaccendersi, e se non fosse direttamente una motivazione religiosa ad innescare un nuovo tempo di violenza simile a quello occorso fino a poco più di dieci anni fa con la guerra civile fra la minoranza Tamil e l’esercito governativo, certamente l’uso strumentale delle appartenenze religiose sarebbe messo in causa e i cristiani ne sarebbero fra le vittime principali.
“Basta vedere le persecuzioni del secolo scorso delle dittature europee” ha detto Papa Francesco, per capire “come si arriva all’accanimento contro i cristiani, contro la testimonianza cristiana e contro l’eroicità dei cristiani. È doloroso ricordare che, in questo momento, ci sono molti cristiani che patiscono persecuzioni in varie zone del mondo, e dobbiamo sperare e pregare che quanto prima la loro tribolazione sia fermata”.