La Pasqua di Gesù in Madagascar

Prima dell’avvento di Gesù Cristo, il popolo malgascio conosceva già il Dio creatore, chiamato in lingua malgascia Zanahary. Lo Zanahary è anche il Dio provvidenziale che protegge e provvede ai bisogni di tutti. Il popolo malgascio vive questa grazia della creazione in armonia con lo Zanahary attraverso una natura ricca, una cultura pacifica e una vita di speranza. Per i malgasci, Dio Creatore li ha benedetti con un’abbondanza di benedizioni naturali, una terra fertile e un clima mite. Ben consapevoli dei benefici che lo Zanahary ha per loro, i malgasci si sentono molto speciali su quest’isola del Madagascar, la quinta isola più grande del mondo.

La Pasqua di Gesù Cristo è celebrata in tutto il mondo come la vittoria di Gesù sulla morte. La risurrezione di Gesù apre la strada a una nuova vita per i popoli della terra. La Parola di Dio è la vera Luce di cui l’uomo ha bisogno. Questa Parola è presente in Lui, nel Figlio. I cristiani comprendono quindi che nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce del mondo. Cristo è la grande Luce da cui proviene tutta la vita. Egli ci fa riconoscere la gloria di Dio da un capo all’altro del mondo. Il popolo malgascio vive la speranza di una nuova vita in modo pratico e particolare nella vita di tutti i giorni. Nonostante la grande povertà e le difficoltà della natura, i malgasci vivono la Pasqua come una vittoria della vita sulla morte, una vittoria della gioia sulla tristezza, una vittoria della luce sulle tenebre.

Lo dicono nella loro lingua: “Raha tsy miaritra ny fohoriana isika, dia tsy hiditra ny Fanjakan’Andriamanitra”, che significa: se non sopportiamo la sofferenza, non entreremo nel regno dei cieli. I malgasci vivono e affrontano le sofferenze della vita quotidiana con grande fiducia in Dio e con una gioia inspiegabile se si vede la miseria che molti vivono.

La preparazione alla Festa è preceduta da una seria preparazione spirituale, il tempo della Quaresima. Durante la Quaresima, i cristiani malgasci organizzano ritiri e preparazione dei catecumeni ai sacramenti, confessioni, ritiri spirituali, visite alle carceri (quella dei minori di Anjanamasina e molte altre), visite ai malati negli ospedali, sostegno ai giovani e ai bambini che hanno abbandonato la scuola, condivisione con i poveri e, soprattutto quest’anno, con le vittime dei cicloni Batsirai, Freddy e Cheneso.

Come giovane sacerdote salesiano, ho trascorso i primi quattro anni del mio percorso sacerdotale nella missione in Madagascar e rimango positivamente segnato dal fervore del popolo malgascio nella fede, nella carità e nella speranza. Non ho mai confessato e accompagnato tante persone (giovani e adulti) in vita mia come in Madagascar. La missione è abbondante su quest’isola e sento che Dio chiama ad aprire nuovi orizzonti per questo popolo e soprattutto per i giovani che costituiscono i 2/3 della popolazione. L’entusiasmo e l’ospitalità dei giovani e degli adulti mi hanno aiutato a vivere la mia vocazione salesiana, la mia missione e ad essere al servizio di tutti.

La Chiesa malgascia è una Chiesa che cammina nella fede in Dio, nella carità (verso i suoi poveri) e coltiva la speranza della vita eterna. È per questa fede, carità e speranza che la Pasqua è celebrata in Madagascar come una festa della speranza, una festa della famiglia. La Pasqua è celebrata nella massima semplicità, una semplicità generosa che riflette l’amore e la fraternità delle prime comunità cristiane.

Il popolo malgascio non ha l’abitudine di lamentarsi, né è un essere rassegnato. Accetta la vita con ottimismo. Per i malgasci non esiste una vera separazione tra la vita e la morte. La croce (cioè la sofferenza, le difficoltà ecc.) fa parte della vita quotidiana. La morte fisica è solo una perdita temporanea. Per questo motivo i malgasci considerano i morti come parte integrante della famiglia dei vivi, non vengono mai dimenticati nella famiglia. La fiducia nella provvidenza è la cosa più importante nella vita dei malgasci. Questo non significa che non siano lungimiranti, anzi, sono laboriosi, audaci e vigorosi.

Nella speranza della resurrezione, in Madagascar si celebra la cosiddetta “Famadihana”, la venerazione delle reliquie dei parenti defunti. Ogni anno, questa celebrazione viene organizzata da un villaggio all’altro e da una famiglia all’altra. Particolarmente praticata negli altopiani del Madagascar, a seconda dei luoghi, può essere designata con nomi diversi, come “lanonana” o “Fetin-drazana” (per la regione di Amoron’i Mania), “vary be menaka” (per la regione di Vakinankaratra). La celebrazione della Famadihana avviene dopo la Pasqua, come a testimoniare il desiderio di vedere i propri fratelli e sorelle defunti condividere la gloria di Gesù.

Questo rito post-mortem non è solo malgascio: pratiche simili esistono anche in altri paesi, come in Indonesia (tra i Toraja e i Dayak) e in Africa (ad esempio, tra i Bassar nel Nord del Togo). Osservando i testi biblici, vediamo anche che il Famadihana era già applicato ad alcune personalità, Giacobbe, Giuseppe, Saul e Gionata. Sebbene la pratica di questa tradizione sia ancora arcaica per molte persone, i cristiani malgasci praticano questa tradizione ancestrale come testimonianza dello stretto rapporto tra la fede cristiana e la loro cultura. In particolare per la Chiesa cattolica, la venerazione delle reliquie e il culto dei santi occupano un posto speciale. Confrontandoli con il Famadihana, questo rito malgascio può aiutare a comprendere la fede e la pratica cristiana. È in questo senso che l’inculturazione mantiene la sua singolarità.

Padre Florent Dembele, missionario in Madagascar

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