La mia Mariupol era una città bellissima

Una conversazione tra don Dacek Zdzieborski, salesiano direttore della Procura Missionaria di Varsavia e Maria (nome fittizio), una donna scappata da Mariupol che ha trovato rifugio nella Casa salesiana di Lviv – Leopoli.​

Il 24 febbraio la guerra è iniziata nella nostra città, a Mariupol, ma già il 22 febbraio il riscaldamento è stato tagliato, poi acqua e luce e poi siamo rimasti senza gas. Siamo stati privati di qualsiasi comunicazione. Fuori c’era l’inverno, la temperatura era sotto zero: -8 gradi. Nel cortile, sulle pietre abbiamo acceso un fuoco per scaldarci e cucinare qualsiasi cosa. Siamo andati al fiume per prendere un po’ di acqua per il bagno e abbiamo preso l’acqua da bere da un pozzo. Tutto questo durante i bombardamenti, ma non avevamo altra scelta. Le persone che sono morte a causa delle bombe giacevano per le strade. Se qualcuno li conosceva, li prendeva in modo che i loro parenti potessero seppellirli con dignità, scrivere nomi e mettere una croce fatta di bastoni. Gli altri sono stati sepolti come cani o gatti dove possibile. Mariupol è un cimitero, tomba vicino alla tomba, per le strade, cortili… Nessuno saprà mai esattamente quante persone sono morte. All’inizio dei bombardamenti ci siamo nascosti nei nostri appartamenti, negli angoli, nell’ascensore, alcuni nelle cantine, ma non erano adattate a rifugiarsi in loro, perché se la casa fosse crollata, nessuno sarebbe stato in grado di tirarci fuori da lì. Come è riuscita a fuggire da questo posto? Chiede don Dacek. L’ultima notte quando la casa tremava, come se ci fosse un terremoto, abbiamo colto l’occasione e siamo scesi nel seminterrato, intuendo che stava per accadere qualcosa di terribile. Le cantine erano già sovraffollate, ma in qualche modo ci siamo spremuti per passare la notte lì. Di notte, i soldati venivano da noi e chiedevano chi di noi viveva al 3° e al 4° piano, e poi dicevano che avevamo due scelte: morire sotto le macerie di questa casa o uscire in città e cercare qualche altro riparo. Se non fossimo stati avvertiti, avremmo aspettato e non saremmo andati da nessuna parte. Non ci sarei più stata, perché il giorno dopo, prima di mezzogiorno, la mia casa è stata bombardata. La mia Mariupol era una città bellissima, aveva strade meravigliose, bellissimi parchi, asili, scuole, un grande teatro. Quando abbiamo lasciato il seminterrato erano le 5 del mattino e stavamo correndo sotto il fuoco. Le case erano in fiamme e la gente gridava: “Aiutateci, aiutateci!” Circa 15 o 20 persone sono fuggite dal seminterrato, gli anziani sono tornati perché era difficile per loro correre. Sulla strada cadevamo e ci rialzavamo – adulti, bambini con cani e gatti… Tutti portavano con sé quello che potevano. Siamo fuggiti dal seminterrato portando solo quello che potevamo: non ho preso nulla dal mio appartamento, né fotografie dei miei cari, né le mie cose preferite. Siamo scappati verso il centro della città, poi siamo scesi verso il mare e dopo quasi 24 ore abbiamo preso un autobus per Berdyansk, sul Mare d’Azov; quindi, da lì con 50 pullman, per un totale di circa 3.000 persone, ci hanno portato a Zaporozhye, e la tappa successiva è stata Vinnytsia, da cui poi abbiamo raggiunto Leopoli. Non ci dovrebbe essere guerra in nessuna nazione. Dovremmo mostrare rispetto e gentilezza l’uno verso l’altro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un russo o di un ucraino, di un polacco o di un tedesco…

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