La “fine geografica del mondo” – che identifichiamo usualmente con l’estrema punta meridionale delle Americhe – si trova anche nel cuore dell’Africa. È a Pugnido, regione di Gambella, Etiopia del sud-ovest. O almeno, quello è uno dei luoghi dove ci si trova totalmente staccati dal resto del mondo, su una terra “in mezzo al nulla”, come scrisse qualche anno fa la giornalista Anna Pozzi nell’intervista a don Giorgio Pontiggia, missionario salesiano, deceduto il 27 dicembre scorso. Ritornato in Italia due anni fa per motivi di salute, ha svolto l’attività pastorale nella comunità salesiana di Sondrio fino a che non lo ha colpito il Covid-19.
Lui era andato in Etiopia nel 1990 per costituire una punta avanzata della congregazione, testimonianza della missionarietà dell’opera salesiana di Sesto San Giovanni (Milano) dove era stato parroco e aveva diretto l’oratorio per cinque anni. E infatti il metodo da lui applicato anche in Etiopia è stato quello dell’aggregazione dei giovani come motore dell’intera attività di annuncio cristiano e di sviluppo umano. “Quando sono arrivato a Pugnido –(dopo l’approdo nella capitale e una prima esperienza ‘di confine’ nel sud a Dilla; n.d.r.) ho trovato una quarantina di cattolici” ricordava don Giorgio. “Dopo circa un anno, ho ricominciato ad amministrare i battesimi. Un po’ alla volta, con una situazione di relativa calma e per le molte attività create in parrocchia e attorno ad essa, la vita della comunità cattolica è ripresa con vivacità”.
L’attività di evangelizzazione si era presto manifestata anche con la costruzione della chiesa in cui radunarsi in preghiera, e da lì si sono contestualmente generati un asilo per l’educazione dei bambini e per l’aiuto a quelli malnutriti con il pranzo, e un ostello per dare ai giovani della foresta la possibilità di risiedere in un centro vicino alle scuole. Nella regione di Gambella, il cui capoluogo è appena al di là dell’omonimo Parco Nazionale, vivono due etnie, gli Anuak e i Nuer, disperse in villaggi distanti e difficili da raggiungere. Don Pontiggia, abbà Giorgio come si usa chiamare i religiosi in Etiopia, ha visto la necessità di dotare ogni centro pur piccolo di almeno una cappella: don Filippo Perin e il signor Giancarlo Archetti, confratelli mandati in aiuto, sono stati decisivi per realizzare questo programma. Ne hanno costruite 11 nei dintorni di Pugnido. A queste si sono aggiunte altre 4 cappelle nei “villaggi” sorti per la fuga dal vicino Sudan in guerra: fra il 2006 e il 2018 i salesiani sono stati testimoni dell’esodo di massa da quel Paese, prima per la lotta fra il Sud del Paese (a prevalenza copta) e il Nord (a prevalenza musulmana), poi per le lotte interne al neonato Sud Sudan.
L’Etiopia è come se si insinuasse nel Paese confinante, e quella di Gambella è la regione che fa da punta avanzata. Su una popolazione già provata da continue tensioni economiche e politiche è andato a gravare il peso dei campi profughi, città improvvisate in cui si riversano persone private di ogni bene, se non qualche coperta e poche pentole, “straniere” a se stesse oltre che agli altri. “Sono ormai quasi ventimila” scriveva don Pontiggia nel 2014 dopo il Natale vissuto con loro, “èimpressionante vedere una distesa di tendoni dove alloggiano famiglie intere, prive di tutto. Ogni domenica celebriamo la santa Messa in mezzo a loro”. Per rispondere alle necessità, con i luoghi di culto che diventano centri di assistenza umanitaria, non si perse d’animo e mise in campo un nuovo progetto: “Costruiremo un’altra chiesetta in onore della santa Sudanese, Bakhita. Nella loro condizione di povertà questi profughi trovano speranza nella fede e nella Parola di Dio”.
Farsi vicino anche ai lontani: la “lezione” di Sesto
Don Pontiggia è arrivato alla missione già “maturo”: aveva 47 anni quando prese l’aereo con destinazione Addis Abeba. Ciò ha determinato molta parte delle sue strategie.
A Sesto San Giovanni fra il 1979 e il 1984 aveva respirato il momento della reggenza della diocesi di Milano da parte del cardinale Carlo Maria Martini, pietra miliare per la Chiesa ambrosiana e per quella universale. Seguendo la spinta a “farsi prossimo” che animò la pastorale degli Anni Ottanta, questo salesiano diede vita a un centro Caritas che ancora oggi prosegue il proprio servizio. La sua personale vocazione si era ben innestata nella solida tradizione salesiana della cittadina lombarda: quella della parrocchia di Maria Ausiliatrice nel nuovo quartiere Rondinella, con un oratorio che formava giovani destinati ad assumere responsabilità, per sé e pe gli altri. Con umiltà, di fronte al nuovo impegno di direttore e di parroco si era domandato: “Ce la farò?”. La risposta la danno gli adulti di oggi: “È stato un grande esempio, sempre pronto ad aiutare il prossimo”.
Con la comunità di partenza ha mantenuto i rapporti, come glielo consentivano i nuovi impegni a 12 ore e più di volo aereo nel nuovo “oratorio” a Pugnido. “Anche adesso in Etiopia sento che quegli anni e quelle persone mi hanno plasmato e mi ispirano a mantenere il Cuore Oratoriano del Buon Pastore” confessava don Pontiggia. Comprese che a quegli amici in Italia non avrebbe dovuto solo raccontare delle belle esperienze con la gente della foresta e chiedere aiuto per realizzare gli interventi della missione, ma dare loro conto dei fatti e dei problemi anche sul piano della Storia. In un breve ma denso racconto (ancora oggi disponibile nel Web) descrisse la condizione del Corno d’Africa afflitto da ripetute guerre etniche, da governi dittatoriali, dalla separazione dell’Eritrea dopo un conflitto fratricida ultratrentennale, dalla fuga dei giovani migranti verso altri continenti che impoverisce di risorse umane quei Paesi. È un grande pezzo d’Africa che nel suo DNA conserva le tracce della schiavizzazione delle popolazioni dell’interno, deportate nei secoli passati utilizzando barconi sul corso d’acqua che passa per Gambella, il Baro, che in lingua locale significa appunto “fiume degli schiavi”. Di immissione in immissione questo giunge fino al Mediterraneo, attraverso il Nilo Bianco. Un’altra traccia di sangue e sofferenza lasciò il terribile quanto maldestro dominio coloniale degli Italiani. Oggi si sta attuando in Etiopia l’infiltrazione del mercato cinese.
Grande speranza per il futuro: la “lezione” di Pugnido
Quasi come al centro di questo “buco nero”, sta Pugnido. Qui l’intraprendenza di don Pontiggia e, a monte di questa, la sua fiducia in Dio, hanno continuato a battere il tasto dello sviluppo, iniziando dalla difesa della foresta minacciata dalla desertificazione e dall’impoverimento dei terreni. Ai giovani dell’Istituto Elvetico di Lugano nel novembre 2014 aveva descritto la situazione: “La siccità che ha colpito la Somalia e la Somaly Region dell’Etiopia non ha raggiunto direttamente queste terre, ma gli effetti della siccità si sentono nel forte rincaro dei prezzi degli alimenti e nella scarsità di approvvigionamenti. Il lavoro è continuo, senza tregua: non abbiamo avuto né ferie né vacanze per l’attività di agricoltura e ri-forestazione“. La difesa dagli effetti dei cambiamenti climatici si è fatta ancora più impegnativa negli anni.
Difficile afferrare un brandello di ottimismo in queste condizioni, ma don Pontiggia lo trovava nei giovani: “Sono loro i protagonisti della missione, hanno una forza ed un entusiasmo incredibili, trasmettono gioia e voglia di vivere. Questi giovani sono una grande speranza per il futuro”.
Ecco cosa è fiorito in quel “nulla” dove lui ha annunciato Gesù ai più poveri.