Il modello missionario di Don Bosco: San Francesco di Sales

Il salesiano don Gianni Ghiglione è un profondo conoscitore della spiritualità di san Francesco di Sales. Lo ringraziamo perché ci consente di estrarre dai suoi libri un capitolo dedicato alla predicazione del Santo al quale si è ispirato Don Bosco, che riteniamo utile proporre ai nostri amici perché conoscano meglio lo spirito che anima anche i nostri missionari.

Francesco, sacerdote per nove anni e Vescovo per venti, visse all’insegna di una donazione totale a Dio e ai fratelli. E lo notiamo subito: a fine 1593, pochi giorni dopo la sua ordinazione sacerdotale, pronuncia un celebre discorso (detto arringa per il contenuto e il vigore con cui fu pronunciato) davanti ai canonici di Annecy e di Ginevra: sono impauriti, scoraggiati.

“Con la carità bisogna abbattere le mura di Ginevra, con la carità bisogna invaderla, con la carità bisogna riconquistarla! […] Che il vostro accampamento sia l’accampamento di Dio […] È con la fame e la sete, sopportate non dai nostri avversari, ma da noi stessi, che dovremo respingere il nemico. […] C’è un acquedotto che alimenta e rianima tutte le categorie di eretici, e sono i cattivi esempi dei preti perversi, le azioni, le parole, insomma l’iniquità di tutti, ma soprattutto degli ecclesiastici. Per colpa nostra il nome di Dio viene bestemmiato ogni giorno tra le genti (OEA VII 107ss).

L’anno seguente si offre “missionario” nel Chiablese dove l’ostilità verso questo prete “papista” all’inizio sarà grande. Francesco parte munito di una robusta fune.

“La preghiera, l’elemosina e il digiuno sono le tre parti che compongono la fune che il nemico rompe con difficoltà. Con la grazia divina, cercheremo di legare con essa questo nemico” (L 40, 98-99).

Insieme al cugino Luigi prende dimora, per i primi mesi, nella fortezza degli Allinges e ogni giorno scende a Thonon alla ricerca dei caporioni della città: sono mesi tremendi per la solitudine, l’ostilità, il freddo.

Da subito inizia a predicare nella chiesa di Sant’Ippolito, dopo il culto protestante. Quelli che vengono ad ascoltarlo sono “quattro o cinque umili persone”. Francesco non si scoraggia e scrivendo al suo Vescovo afferma: “Tuttavia, Monsignore, noi speriamo con pazienza!”

Un pio signore, visto l’esiguo uditorio, gli consiglia di far stampare le sue prediche, consiglio che lo zelante missionario coglie al balzo: le porta a Chambery e poi le affigge nei luoghi più frequentati di Thonon e le fa scivolare sotto le porte di cattolici e di protestanti. Chi ama non si arrende, ma inventa, crea!

Molti, tra cui don Bosco, hanno attribuito a Francesco l’espressione biblica da mihi animas, coetera tolle (Gen 14, 21). Non la si incontra mai (neppure una volta) nelle oltre due mila lettere che possediamo. È l’amico J. P. Camus che la mette sulle labbra di Francesco nella prima biografia del Beato Padre da lui scritta: è quasi un sospiro di fronte alla durezza di cuore di Ginevra che si ostina a perseverare nell’eresia. Tuttavia, se non si trova la frase in forma esplicita, ogni pagina dei suoi scritti e ogni giorno della sua vita è una traduzione concreta della sua volontà di spendersi senza risparmi per “la gloria di Dio e per la salvezza delle anime” di chiaro stampo ignaziano.

Il suo apostolato nel Chiablese all’inizio è un apostolato di contatto, avendo come modello Gesù, anche lui pellegrino sulle strade della Palestina. Si ispira alla sua dolcezza e alla sua bontà, alla sua franchezza e sincerità. Va ordinariamente a piedi e questo favorisce incontri con la gente: sorride, parla, saluta, si ferma e si informa… convinto che i muri della diffidenza si abbattono solo con relazioni di amicizia e di simpatia. Se riuscirà a farsi amare, tutto sarà più facile e più semplice.

Don Gianni Ghiglione, SDB
Fine prima parte

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