Difficilmente troverete un missionario disposto a raccontare la sua opera per accontentare l’appetito di chi cerca fenomeni straordinari, trasformazioni spettacolari, sorprese stupefacenti. È quanto ci conferma l’incontro con don Felice Molino, Figlio di Don Bosco e missionario in Kenya, in questi mesi di pandemia costretto a lavorare a distanza per la complessa macchina di sostegno delle opere salesiane nel Paese. La pianificazione dei progetti, la ricerca dei finanziamenti a mano a mano che si procede fanno parte della sua buona prassi come quella dei tanti colleghi che intendono resistere alle diverse tentazioni che si presentano: la resistenza pregiudiziale al cambiamento, la lentezza di chi non vuole coinvolgersi, l’improvviso cambio di vento nelle situazioni locali possono portare alla delusione, alla fiacchezza, alla paura. Ebbene, il primo miracolo è quello di saper resistere a queste tentazioni, accettare le cose e le persone come sono, considerare anche la disfatta come una vittoria nel cammino di purificazione della propria fede e della contestuale testimonianza del Vangelo.
Ci sono anche dei segni insperati che lasciano intravedere dietro ai missionari una “mano” che li aiuta in maniera non prevista. E qui il sapore del miracolo ha la sostanza della solidarietà concreta.
La generosità di chi si fida delle persone e non chiede il rendiconto
Al di là di ogni calcolo puntuale dei preventivi dei progetti che i salesiani sottopongono a Missioni Don Bosco, possono succedere imprevisti che richiedono ulteriori spese. È difficile far rientrare queste sotto la copertura del finanziamento ottenuto, ma succede che si aggiungano risorse fresche derivanti da offerte straordinarie, come quella del 5×1000. “Mi sono arrivati negli anni dei soldi inaspettati che calvano a pennello situazioni imprevedibili che si erano presentate” spiega don Felice, “come ad esempio la realizzazione di una scuola nella città di Makuyu”. Il progetto aveva calcolato tutte le spese per la realizzazione della struttura e il per il suo allestimento; ma al suo della campanella si sono presentati allievi che – oltre all’esigenza di studiare – avevano quella di riempire la pancia per non crollare alle ultime ore di lezione. “Ebbene, grazie al 5×1000 abbiamo potuto integrare il progetto con il pasto somministrato a 500 bambini: i soldi si sono convertiti così in sacchi di fagioli e di mais (in Kenya il pane è un lusso)”.
Questa forma di contribuzione, che a volte viene presa sottogamba dai contribuenti, don Molino attesta che ha una sua specifica valenza nei Paesi di destinazione. “Vedo molta generosità nelle persone che firmano per assegnare anche a noi questa percentuale di imposizione fiscale: non chiedono di sapere a quale specifico uso sarà destinata, ma si fidano di chi la riceve”. Sono persone che non chiedono pezzi di carta per documentare come sia stato speso quel denaro, mentre molto spesso il silenzio di un gesto caritativo non deve lasciare traccia, per non umiliare i beneficiari. “Il 5×1000 che mi arriva attraverso Missioni Don Bosco serve per quello che è sussidiario alle necessità ordinarie” commenta don Felice.
Un soccorso economico imprevisto che ribalta la situazione
Don Felice Molino ci fa qualche esempio lampante: “Una volta ho potuto pagare la formazione di una ragazza madre, il suo sostentamento e la scuola per il suo bambino nella baraccopoli di Korogocho a Nairobi. Un’altra volta è successo che, in corso d’opera, le maestranze abbiano preteso più soldi per completare la costruzione di una struttura della missione. Ero preoccupato, non volevo creare malcontento. Si parlava di una differenza di 1 milione di scellini (circa 10.000 euro al cambio di allora) di cui non disponevo, ma che avevano chiesto al giudice di ordinarmi di pagare. Di notte non dormivo, di giorno ero depresso. Pensai: ‘Se perdo la causa pianto la missione e me vado’. In una di quelle notti mi arrivò una telefonata da Valdocco: erano le 8 del mattino in Italia e la signora Marisa di Missioni Don Bosco non voleva perdere neanche un minuto per dirmi che le era appena arrivato l’avviso di una donazione di 50.000 euro: 5 volte l’importo che mi spaventava!”.
Non solo: quando le maestranze capirono di essere state trascinate in una causa legale perché l’avvocato aveva immaginato di poter sfruttare le disponibilità di un missionario, ritirarono il loro esposto che stava tagliando le mani di chi li aiutava. Una vicenda triste, risoltasi per il meglio in maniera insperata, “miracolosa”.
La storia di Anna, abbandonata, diventata capace a sua volta di aiutare i poveri
Ma la vicenda che don Felice tiene di più a raccontare è quella di una bambina di tre anni, Anna rimasta senza genitori e accolta dalle suore della parrocchia. Crescendo fu avviata a scuola: elementari, medie, superiori. Era sempre la prima della classe.
Diventata maggiorenne però scappò dall’orfanotrofio, alla ricerca della mamma: le era giunta notizia che forse era una donna che abitava in un villaggio a 20 km da lì. Con l’aiuto della polizia riuscì a trovarla. Viveva miseramente e la convinse a tornare con lei nell’orfanotrofio. Anna fu assunta come addetta al dispensario, poi divenne segretaria. Sembrava che tutto filasse liscio, ma un giorno la madre se ne andò e la figlia dovette ricominciarne la ricerca, che si concluse in una delle 200 baraccopoli della capitale. La donna voleva vivere lì, aveva incontrato un uomo che però non le assicurava da vivere. La figlia decise di rimanerle vicina. Nacque un fratellino, ma poco dopo la madre morì e Anna si trovò doversene occupare da sola visto che il “marito” si era dileguato.
Quanto guadagnava dal suo piccolo commercio di latte non era sufficiente ad assicurare al piccolo casa e istruzione, e per questo chiese aiuto a don Felice. Il missionario la fece incontrare con le Suore Comboniane della baraccopoli, ed ebbe da Missioni Don Bosco il denaro per acquistarle una macchina per cucire dopo aver frequentato la scuola di sartoria. Da allora divenne totalmente indipendente, per sé e per il fratellino. Partecipava alla vita parrocchiale portando regolarmente un’offerta per le famiglie in difficoltà.
“Ancora oggi, tutte le volte che parto per visitare i benefattori, Anna mi porta un gruzzoletto che raccoglie con i suoi guadagni” confida don Felice, “e mi spiega che ormai riesce a pensare a sé stessa e al bambino. Come ha ricevuto, adesso vuole dare lei aiuto a chi ha bisogno”. Se questo non ha il sapore di un miracolo…