È il più giovane di esperienza missionaria, ma non si è certo misurato con una destinazione “facile” il vinovese Piero Ramello, coadiutore salesiano partito all’Ispettoria piemontese due anni fa con destinazione Pakistan.
Nella pur breve esperienza (l’arrivo nella città di Quetta poi il trasferimento a Lahore) ha avuto modo di prendere la misura della presenza salesiana in un Paese fortemente caratterizzato dall’Islam e dall’età media dei suoi abitanti, che è giovanissima.
Sono questi i due elementi che fanno parte della meraviglia di un europeo che confronta la realtà di arrivo con quella di provenienza:
– se da noi la questione religiosa è confinata nel privato e spesso in una appartenenza sottaciuta, in Pakistan ogni persona ha un costante riferimento a Dio nella sua giornata. Che Lo chiami Allah in gran maggioranza, o con altro nome lo faccia la infima minoranza cristiana, si percepisce da parte di ogni persona, un rapporto con la Provvidenza che segna la giornata con tutte le sue attese e responsabilità;
– se da noi vedere nugoli di ragazzi per strada è una rarità da colonia estiva, l’immagine che balza agli occhi di Piero a Lahore è quella delle nuove generazioni affacciate prepotentemente sul futuro.
A scuola chiusa, potenziata l’attività extra-curricolare
La scuola a cui lui è stato destinato è chiusa praticamente da due anni. Salvo qualche sprazzo, la didattica è rimandata a tempi migliori, dal momento che le risorse delle famiglie per sostenere quella a distanza sono inesistenti. Anzi, mentre le diverse attività economiche e sociali sono state chiuse solo alla recrudescenza dalla pandemia, la scuola è stata bloccata fin dall’inizio di questa.
La vicina India (a qualche decina di chilometri da Lahore c’è il confine di Stato) è in preda alle peggiori conseguenze del contagio, ma il Pakistan sembra ancora esente dalle varianti aggressive, mentre ha una dotazione di cure ospedaliere ancora non sottoposta a stress, con buona disponibilità di bombole di ossigeno. E poi la giovane età della popolazione pare proprio che faccia da contrappeso statistico alla gravità della diffusione fra gli adulti e gli anziani.
Il Pakistan non è nel novero dei Paesi più estremizzati dal punto di vista del radicalismo islamico, nonostante la linea ondeggiante dei leader. I riscontri elettorali del TLP, il partito che rappresenta in parlamento le formazioni estreme, non superano la misura del 5% degli elettori. È questa tuttavia una minoranza in grado di tenere sotto scacco il governo se, com’è successo recentemente, riesce a bloccare la circolazione capitale per cinque giorni consecutivi. Si è trattato della risposta alla riaffermazione da parte del governo francese del diritto a sbeffeggiare il Profeta, improvvisa e non richiesta espressione muscolosa di una democrazia occidentale che non è ancora riuscita a trovare l’equilibrio fra la libertà di pensiero e della sua manifestazione da un lato e il rispetto della sensibilità e dell’identità dei soggetti coinvolti dall’altro. Invece in questi giorni di ripresa delle armi nel confronto fra Israeliani e Palestinesi non si registra in Pakistan una particolare reattività da parte dell’opinione pubblica o dei suoi esponenti più ortodossi.
Così come non è stato contrastato (ma siamo nella capitale e non in periferia) il progetto di Piero Ramello, insegnante di fisica e matematica con la passione per le sette note, di realizzare una scuola di musica come attività della scuola. Ci sono chitarre, fisarmoniche, tastiere e flauti acquistati grazie ai benefattori di Missioni Don Bosco e dei contribuenti che hanno destinato a questa il loro 5×1000. Nei pochi mesi di apertura si è già messa in aula una banda musicale che attinge volentieri agli stili musicali di Bollywood, la città indiana dello spettacolo che attrae la curiosità di giovani di mezza Asia.
Ad attività rallentata, i rapporti si fanno più intensi con i singoli
Sono “miracoli” anche questi? In un certo senso sì, considerato che si deve superare la perplessità se non l’ostilità di una certa tradizione islamica verso le espressioni artistiche non canoniche. Non è una sfida culturale, ma il modo di essere a servizio dei ragazzi aiutandoli a trovare i loro talenti, rispettando la misura dettata dalle loro tradizioni. Il sogno – perché tale può sembrare oggi per la congregazione salesiana presente in due sole città del Paese, e nella capitale con una comunità composta di tre confratelli (un Pakistano, un Messicano e un Italiano) – è quella di aprire una scuola professionale nella popolosa città di Hyderabad, chiamati a questo scopo dal vescovo locale. Possiamo scommettere che anche questo sogno sarà realizzato.
Intanto Piero Ramello e gli altri stanno vivendo questo tempo sospeso con una opportunità rara: dei 200 ospiti interni della struttura scolastica (studenti provenienti da altre città), a causa del Covid-19 sono presenti solo 15, quelli che non hanno famiglie in grado di tenerli o che risiedono lontano. Il mantenimento, a scuola chiusa, è assicurato a un fondo di riserva al quale contribuisce anche il 5×1000.
Uno di questi ragazzi è una sorta di “Marcellino pane e vino” che vive stabilmente con i salesiani non avendo alcun parente da cui andare. Con questo “resto”, composto dai meno fortunati, il miracolo quotidiano è quello di poter condividere le lunghe giornate di isolamento dando vita a una comunità in cui ciascuno si rende utile agli altri. I ragazzi guadagnano la giornata facendo la loro parte di servizio di pulizia, di cucina e di cura dell’orticello; i più grandi ricevono anche una paga per i lavoretti che riescono a fare.
Come rinchiusi in una convivenza forzata, devono trovare un modus vivendi imprevisto. Ma lo spirito educativo di Don Bosco sta cercando di trarre da questa necessità la virtù di un rapporto più stringente e “fuori schema” con i ragazzi. È la condizione in cui ciascuno degli attori, maestri compresi, deve trovare la vera ragione del suo stare con gli altri, dove il carisma si mette in rapporto con le persone senza ruoli precostituiti. E il miracolo è che questo funziona.