Viaggio missionario in Gambia
Dopo aver visitato il Senegal, in auto siamo arrivati in Gambia. Il Gambia è uno dei più piccoli stati dell’Africa – grande quanto il nostro Trentino Alto Adige – abitato da circa 2,7 milioni di persone. In gran parte sono della medesima etnia che popola il Senegal, i Mandinga. Però nel periodo del colonialismo l’estuario e gran parte del corso del fiume Gambia erano controllati dagli inglesi, i francesi invece avevano il Senegal. Così i due imperi coloniali hanno deciso a tavolino di creare due stati separando, con una riga tirata dritta, territori e popoli che erano sempre vissuti insieme.
Questo Paese negli ultimi vent’anni è stato governato da un dittatore feroce e spietato che ha isolato il Gambia dagli altri Stati africani e dalle relazioni internazionali. Solo da tre anni la situazione è cambiata e ora il governo del paese sta aprendosi a nuove relazioni.
Si coglie questa chiusura e arretratezza socio economico passando dal Senegal al Gambia. Tutto è più disordinato, sporco, approssimativo… la gente è stata abituata a non pensare, non organizzare, non prendere decisioni. Bastava obbedire. E ora questa libertà di pensiero e di azione non sono in grado di gestirla.
L’esperienza di prendere il traghetto per passare da una parte all’altra del Paese, attraversando la foce del fiume, è stata emblematica di questo caos disorganizzato. Arriviamo al posto di imbarco verso le 10.00 del mattino, paghiamo il biglietto e dopo un’oretta vediamo arrivare il traghetto. Siamo fortunati, ci diciamo. Tutto sufficientemente rapito. Abbiamo parlato troppo presto… la fiumana di gente, non coordinata dal servizio di trasporto, che si è riversata dentro portando ogni cosa trasportabile: materassi, taniche, sacchi di patate, un intero gregge di pecore, letti, cornici, tubi di scarico per i bagni… Insieme poi a bici, moto, camion, pullman e auto, alcune delle quali hanno pagato una mancia per passare per prime, fanno sì che proprio noi restiamo fuori dal traghetto. Dopo circa tre ore di attesa sulla banchina, sotto un sole che brucia, finalmente il traghetto ha fatto ritorno. Stessa scena di prima, ma stavolta siamo i primi a salire con l’auto e, stretti stretti come sardine in scatola, riusciamo ad attraversare il fiume.
Noi salesiani siamo appena arrivati in Gambia, è il 133 paese del mondo che vede la presenza dei figli di Don Bosco. Ci ha chiamati il vescovo locale e ci ha chiesto di subentrare ad una congregazione africana che a causa della scarsità di vocazioni non ce la faceva più a garantire la presenza a Kunkujang, un villaggio 30 chilometri a sud dalla capitale Banjul. Questo villaggio e le zone circostanti sono abitati da moltissimi cristiani cattolici anche se il Gambia, come il Senegal, è a maggioranza musulmana.
Il fenomeno è dovuto alla presenza di numerosi profughi e rifugiati della Guinea Bissau, che nelle lotte tribali e per la libertà degli anni ’70, avevano trovato accoglienza in questi territori poco abitati. In Guinea infatti la popolazione è prevalentemente cattolica.
Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco