Nell’immaginario collettivo i Maasai sono un popolo di pastori nomadi che si spostano nella savana in cerca di pascoli per le loro greggi. Nella realtà il tradizionale nomadismo basato sull’allevamento del bestiame e sul baratto ha progressivamente lasciato il posto a uno stile di vita piuttosto stanziale.
Una ragione è da ricercarsi nella siccità , conseguenza del riscaldamento globale, che è diventata un problema serio in Africa orientale e ha costretto molti Maasai a cercare mezzi di sussistenza alternativi. Un’altra è che la maggior parte dei territori indigeni sono stati gradualmente sottratti ai Maasai a partire dall’epoca coloniale e trasformati in aziende agricole e allevamenti di bestiame, in aree amministrate dal governo e in parchi naturali. I Maasai sono stati dunque confinati nelle zone più aride e sterili del Kenya inadatte a un’economia di sussistenza. Ciò ha causato un graduale abbandono delle zone rurali e un processo consistente di migrazioni verso le città in cerca di lavoro. L’evolversi, spesso incontrollato, di questi movimenti ha favorito il sorgere di baraccopoli densamente popolate in periferie urbane sempre più degradate. Le case maasai tradizionali fatte di sterco mescolato a fango posto su una struttura di rami flessibili hanno lasciato il posto a costruzioni stabili in pietra o in laminati metallici. L’assunzione di uno stile di vita urbano da parte dei pastori maasai li ha portati lontani dalle loro terre e ha modificato in modo sostanziale il loro stile di vita. Nonostante molti di loro vivano ancora nelle terre ancestrali, sono diventati una minoranza nei loro stessi territori.