Il 12 gennaio 2010 ad Haiti un terremoto distruggeva quel poco di vita organizzata di cui gli abitanti potevano godere. Pure le case dei salesiani furono pesantemente colpite, con allievi e insegnanti colti di sorpresa e ritrovati deceduti sotto le macerie. Il bilancio che fu possibile stilare qualche mese dopo giunse a contare 150.000 morti, un terzo del totale degli abitanti.
La solidarietà internazionale si mobilitò, anche dall’Italia, con una operazione di comunicazione e di aiuto paragonabile a quelle che nei decenni precedenti avevano riguardato le carestie del Sahel o in India. Missioni don Bosco, con la campagna “AiutaHaiti”, diresse nell’isola caraibica un considerevole aiuto materiale, con la visita del Rettor Maggiore, don Pascual Chavez, che moltiplicò l’attenzione in tutte le comunità salesiane.
La popolazione subì poi le conseguenze del passaggio dell’uragano Mattew, che nel 2016 devastò anche l’isola e lasciò quasi 1.000 morti.
A fare un bilancio a inizio 2020, le parole di don Attilio Stra – che a dispetto della sua età ormai da pensionato continua a stare al fianco degli Haitiani – che fanno emergere la delusione per la presente situazione del Paese. Per chi vive a Port-au-prince, la capitale, come nel resto del Paese la questione alimentare è ancora oggi dominante. E a stomaco vuoto, o comunque in carenza nutrizionale, ragazzi per primi e adulti con loro non possono guardare ad alcuna attività di studio o di lavoro che vada al di là della pura sopravvivenza quotidiana.
Lo sviluppo è ancora lontano da innescare
“Dieci anni dopo? Qui ad Haiti si sta molto molto male” dichiara don Stra, “lo dico con vergogna dopo i tanti aiuti che il Paese ha ricevuto!”. La denuncia della malversazione è nelle parole degli osservatori e degli stessi cittadini, ma non se ne viene fuori. Le risorse destinate alla creazione delle strutture di assistenza e di aiuto allo sviluppo si sono perse nei rivoli delle burocrazie e degli interessi particolari; oggi che l’attenzione internazionale è calata, le risorse sono diminuite e neppure “per errore” sulla popolazione ricade un qualche sostegno adeguato.
Se la vita delle persone si alimenta col cibo, quella di una società con l’energia che muove li mezzi di produzione e le strutture organizzative. Con gli auguri di Natale, don Stra ci informava che si erano appena “conclusi tre mesi di “Haiti-lock”, ossia di Haiti bloccata per la mancanza di elettricità e di carburanti, con le scuole chiuse e gli ospedali in grado di affrontare solo qualche urgenza. Uffici pubblici chiusi, mercati fermi”. Con gennaio la situazione si sta sbloccando, le scuole riprendono timidamente ad aprire in questo gennaio. Ma l’ “Haiti-unlock”, lo sblocco del fermo imposto dal deficit del bilancio del Paese può essere solo un sogno se non si attivano risorse per fondare nuove condizioni per la gestione del bene pubblico.
“Haiti si inviluppa al posto di svilupparsi” avverte il missionario che ci scrive nel triste anniversario dell’evento sismico. La scuola primaria, gli istituti tecnici e professionali potrebbero essere una chiave per aprire la porta di un nuovo futuro. Ma non basta la buona volontà. “Un piccolo esempio: qui al Cap-Haitiano, la nostra grande opera ‘Fondation Vincent’ che comprende oratorio, centro giovani, scuola primaria, scuola secondaria, scuola professionale-tecnica, scuola agricola, centro ragazzi di strada, due cappellanie, da novembre 2018 per un anno non ha mai avuto elettricità!”. Situazioni che farebbero cadere le braccia anche ai più decisi, i Figli di Don Bosco persistono per via della grande determinazione a non abbandonare questa gente al loro destino.
Le gravi carenze alimentari e le famiglie disintegrate
Don Stra cita un documento che descrive autorevolmente lo stato economico di Haiti: «il Paese è classificato al 111 ° posto su 117. L’indice rivela che soffre di un livello allarmante di fame con un punteggio di 34,7, in calo di 8 punti rispetto all’anno 2000 (42,7). Questo punteggio è dovuto al tasso di denutrizione del 49,3% contro il 57,1% nel 2000, il terzo valore più alto nel rapporto del 2019, che sottolinea che circa la metà della popolazione haitiana non è in grado di soddisfare regolarmente il fabbisogno calorico di base. L’alto tasso di povertà, la bassa produttività agricola, l’alto livello di degrado ambientale e l’agricoltura dipendente dalla stagione delle piogge, sono i principali fattori che contribuiscono all’insicurezza alimentare ad Haiti».
A questo fattore materiale, don Stra aggiunge quello legato ai legami familiari, molto precari. “Su 100 bambini di strada, solamente 5 hanno alle spalle i due genitori, ossia madre e padre che hanno una convivenza stabile. Manca la cellula sociale di base, la famiglia. Come può una società svilupparsi in maniera positiva?”.
Dieci anni fa i più accorti si domandavano già dove si sarebbero canalizzati gli aiuti, quanto sarebbe durato l’aiuto internazionale una volta spenti i riflettori dei media. “Haiti interpella il mondo” scriveva in copertina un settimanale, ma il mondo sembra aver dato risposte a lunga portata. Il progetto dei salesiani continua in mezzo a mille difficoltà, ma i 50 confratelli stabilmente presenti assicurano che almeno i “barabin”, come dice don Stra, abbiano ancora un tetto sotto il quale ripararsi e crescere. “Dobbiamo tanta riconoscenza a tanti benefattori, a voi” conclude nella sua corrispondenza da Port-au-prince.