Gli ostacoli e le avversioni non interrompono il cammino della pace

La celebrazione il 1° gennaio della “Giornata Mondiale” ci ricorda che la Pace è questione seria, che non si può affidare al caso o alla sistemazione spontanea del quadro delle relazioni internazionali o di quelle interne a una regione del mondo.

Non ha nulla di ripetitivo l’invito che a inizio di ogni nuovo anno (secondo il conteggio cristiano) da 53 volte la Chiesa cattolica esprime a tutto il mondo: ragioniamo di pace, procuriamo la pace. Iniziò con Paolo VI nel pieno del confronto armato fra Occidente capitalista e Oriente comunista, proseguì con Giovanni Paolo II in una fase di rivolgimento incontrollato degli equilibri mondiali, prosegue oggi con Francesco unendo alla riconciliazione fra gli uomini la riconciliazione con il pianeta che essi abitano.

Se il testo comporta l’impegno di entrare in un pensiero denso, presenta una lettura chiara di quale sia il cammino verso la pace.

Una fratellanza basata sulla comune origine da Dio

Papa Francesco, consapevole di trovarci tutti in un tempo di disillusioni e di timore a guardare al futuro, richiama gli ostacoli e le prove che la pace deve superare. Ricorda però la virtù, che è umana ma anche “teologale”, della speranza: è ciò che «ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti, perfino quando gli ostacoli sembrano insormontabili».

Ciascuno ha nel cuore situazioni che contrastano o impediscono la vita secondo il disegno di Dio. Una forma particolarmente perversa di giustificare le guerre è attribuire ad esse una funzione “preventiva” o “punitiva”, per debilitare il nemico o per impedirgli di risorgere. È su questa logica che nel secolo scorso fu inventato il “deterrente nucleare”, la promessa di una distruzione totale per impedire la prevaricazione di una nazione su un’altra. «La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale» sottolinea con forza il Papa alla luce anche del suo recente viaggio a Hiroshima.

Nessuno sogna nel chiedere che le armi siano gettate a terra: mentre rimane preda dell’illusione (o della mistificazione) chi pensa che occorra un dominatore per assicurare stabilità e prosperità ai popoli. «Il desiderio di pace è profondamente inscritto nel cuore dell’uomo e non dobbiamo rassegnarci a nulla che sia meno di questo».

Memoria, solidarietà e fraternità sono gli “strumenti” della pace

La parte centrale del messaggio per la 53m Giornata mondiale della Pace richiama i percorsi che costruiscono la fratellanza e nei quali il mondo missionario si ritrova quotidianamente.

L’attività educativa, ad esempio, laddove i giovanissimi e i giovani trovano la vicinanza propositiva di un adulto che aiuta a costruirsi un’immagine del mondo. «Non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno» scrive Francesco.

Il missionario trasmette costantemente il senso della comunità e il senso di abnegazione: «un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità» rimarca il messaggio.

La fratellanza si propaga dal piccolo al grande quando cerchiamo «il bene comune […] impegnandoci a mantenere la parola data».

I salesiani si ritrovano a proprio agio in questo impegno. Potrebbe essere una frase scritta da Don Bosco quella che ricorre nel testo di papa Francesco:  «La Chiesa partecipa pienamente alla ricerca di un ordine giusto, continuando a servire il bene comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione».

Per un cristiano, ancora un passo avanti

Chiedere il perdono e dare il perdono è una costante di chi cerca la pace. Occorre, scrive il Papa, «trovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdono e la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle. Imparare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di diventare donne e uomini di pace».

L’economia stessa, motore della crescita diffusa e insieme causa di profondi squilibri, deve cambiare i suoi connotati per non condannare alla povertà intere popolazioni. richiamando una delle riflessioni più avanzate di Benedetto XVI, il documento pontificio si spinge a riaffermare la necessità di dare vita a «forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e comunione»: vaga utopia nel miraggio generale della pace?

Se consideriamo cosa avvenne a Valdocco un secolo e mezzo fa (e si ripete nelle nuove “Valdocco” nel mondo), possiamo affermare con verità che la comunione e la gratuità sono il “movente” delle migliori risposte al bisogno di ben-essere delle persone. Quel ben-essere che gli Ebrei chiamavano Shalom-Pace: sviluppo integrale dell’Uomo sotto lo sguardo benevolo di Dio. Lo stesso Dio che attraverso Gesù ha «pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli».

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