Noi italiani, europei, ci siamo abituati all’uso della parola epidemia solo qualche mese fa, ma c’è un Paese in Africa in cui il diffondersi di malattie contagiose che colpiscono un gran numero di individui in un vasto territorio non è così raro: è l’Etiopia. Un Paese dove l’epidemia causata dal Covid-19 è la quarta epidemia in atto, dopo colera, morbillo e malaria.
Nonostante ciò, purtroppo l’Etiopia non si è fatto trovare pronta, anzi sta facendo fatica a tenere sotto controllo il diffondersi del Coronavirus. Una situazione che in questi giorni sta piano piano peggiorando e che ha portato l’OMS a identificare la Repubblica Federale Democratica d’Etiopia come uno dei tredici stati africani ad alto rischio per la diffusione del Covid-19.
Qui, i casi giornalieri sono aumentati moltissimo, ora 5/600 al giorno, prima erano solo 2/300. Anche a Gambella ci sono molti casi, anche se è difficile capire se uno ha il Codiv-19, perché questo è il periodo della malaria, ora è il tempo della stagione delle piogge e molti rimangono colpiti da questa malattia che ha quasi gli stessi sintomi, e poi perché ci sono pochi tamponi disponibili, perché costano e l’Etiopia è un paese povero, ci scrive Abba Filippo Perin.
Gli ospedali non sono ben attrezzati, mancano medici e tamponi, e la campagna di sensibilizzazione rivolta alla popolazione, riguardo le misure per prevenire il contagio, ha interessato quasi esclusivamente i centri abitati, lasciando isolate numerose aree periferiche. Diversi osservatori internazionali, come Human Right Watch, hanno denunciato l’impossibilità per milioni di etiopi di accedere alle informazioni basilari come la pulizia delle mani e il distanziamento sociale, anche a seguito del blocco delle comunicazioni telefoniche e di internet da parte del governo per favorire le operazioni dell’esercito contro le rivolte scoppiate nella capitale Addis Adeba i primi di luglio. Gli scontri tra le forze di polizia e la comunità Oromo a seguito della misteriosa uccisione di Hachalu Hundessa, noto cantante e voce simbolo della comunità, hanno causato più 200 vittime e numerosi feriti. In virtù di questi avvenimenti sono saltate le misure di distanziamento, cosa che ha preoccupato le autorità e probabilmente ha influenzato l’aumento dei contagi.
Carissimi, ci hanno dato solo ora internet dopo 15 giorni e così posso mandarvi qualche notizia, ci scrive don Angelo Regazzo, missionario salesiano in Etiopia da oltre 30 anni.
Abbiamo passato dei brutti momenti, ma siamo tutti sani e salvi. Migliaia di giovanotti Oromo armati di bastoni e pietre hanno vandalizzato negozi e banche, spaccando vetrine e dando fuoco. Un macello. Hanno risparmiato Bosco Children perché sanno che lavoriamo per i poveri ragazzi di strada… Sia ringraziato il Cielo! Alcune città hanno avuto danni ingenti con centinaia di morti. A questo punto il Governo ha tolto internet e il telefono e noi siamo rimasti completamente isolati dal resto del mondo.
Migliaia di persone hanno perso negozi e subito danni ingenti, per cui sta covando un terribile odio e voglia di vendetta… Questo fatto ha dimostrato ancora una volta un’Etiopia divisa e con problemi seri di etnicità. Vi chiedo una preghierina per la Pace in Etiopia e per i nostri meravigliosi “monelli buoni” che in questo brutto momento hanno saputo rimanere calmi nonostante un buon numero di loro han sentito il sangue bollire nelle loro vene, conclude Don Angelo.
A tutto questo si aggiunge la complessa gestione dell’organizzazione dei campi profughi e dei 750 mila rifugiati, le tensioni tra il governo e la popolazione a causa delle accuse di scarso sostegno alle zone periferiche e alle fasce della popolazione più vulnerabili e il rinvio delle elezioni politiche previste per maggio, decisione presa il 31 marzo quando ancora la situazione del contagio era ancora contenuta.
Al fine di contenere la diffusione dell’epidemia, le Autorità hanno deliberato lo stato di emergenza di 5 mesi che dovrebbe durare fino a settembre. Le misure attuate sono state la chiusura di tutte le frontiere terrestri, l’applicazione di misure di allontanamento fisico e le limitazioni agli spostamenti, inoltre sono state chiuse tutte le scuole fino a nuovo avviso, oltre ai mercati e ai bar.
Le conseguenze della crisi sociale ed economica iniziano già sentirsi per una grande fetta della popolazione. Circa il 60% della popolazione etiope (oltre 60 milioni di persone) vive alla giornata, persone che devono guadagnarsi il sostentamento economico il giorno stesso. Famiglie che non hanno scorte di cibo a casa e non hanno accesso all’acqua potabile.
Per di più, una crisi di portata storica, una minaccia terribile per la sicurezza alimentare e il sostentamento, secondo le Nazioni Unite, sta colpendo estese zone del Paese. L’invasione di locuste scoppiata da inizio anno non si è arrestata. È in corsa la seconda ondata. Le autorità hanno affermato che è la più grande invasione che ha colpito il Corno d’Africa degli ultimi 70 anni. Enormi sciami, causati da anomale condizioni meteorologiche, piogge alluvionali devastanti e conseguenze del riscaldamento globale, porteranno come conseguenza una carestia senza precedenti.
Miliardi di locuste stanno invadendo una regione fortemente dipendente dall’agricoltura, dove sono coltivati cereali e altri alimenti che compongono il paniere medio di milioni di persone che vivono con pochi alimenti. Uno sciame di locuste può consumare la stessa quantità di cibo in un giorno di 35.000 persone. La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) stima che circa 30.000 ettari in Etiopia sono già stati infestati, sono state distrutte vastissime coltivazioni di caffè e tè che rappresentano circa il 30% delle esportazioni.
La presenza dei salesiani in Etiopia risale al 1975, i missionari salesiani sono presenti in 14 aree in 5 regioni: Tigray, Oromia, Addis Abeba, SNNRS e Gambella. Fin dai primi anni della missione, i salesiani si sono occupati di alfabetizzazione, istruzione ed educazione dei giovani, del sostegno delle ragazze e dei ragazzi che vivevano in situazione di difficoltà, della realizzazione di scuole primarie, secondarie e centri giovanili.
Di fronte a questa complessa situazione, i Figli di Don Bosco di tutta l’Ispettoria dell’Etiopia, alle prese con l’aumento dei contagi da Coronavirus, l’invasione delle locuste e la conseguente carestia, si sono riuniti e hanno deciso di avviare un vasto e importante progetto a sostegno della popolazione. Hanno iniziato proprio da quei luoghi da cui sono partiti appena la missione salesiana in Etiopia è stata avviata: le scuole, i centri giovanili e centri di formazione professionale. Luoghi chiusi a causa delle restrizioni governative, ma che sono utilizzati per la distribuzione di aiuti per le famiglie dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi che non possono più beneficiare del pasto giornaliero delle mense.
Il progetto che riguarda 16 Centri e scuole salesiane si basa su tre punti:
• distribuzione di cibo e acqua potabile per le famiglie vulnerabili, oggi ancora più in difficoltà a causa del Coronavirus e dell’invasione di locuste;
• distribuzione di dispositivi di protezione individuale, mascherine, disinfettanti e sapone;
• campagne di sensibilizzazione sulle misure di prevenzione per contenere il contagio tramite radio e annunci audio per le strade dei villaggi e dei centri urbani.