Negli ultimi 40 anni l’Etiopia, una nazione che ha il più importante hub aeroportuale del Nord Africa e che è protagonista di una forte crescita economica, soprattutto nell’area della capitale Addis Abeba, è stata anche colpita in più riprese da eventi, naturali e non, che hanno messo a dura prova la popolazione.
Nel triennio 1983-1985 la carestia provocò un milione di morti e fu al centro dell’attenzione internazionale. Oggi, su un’instabilità provocata dagli scontri armati tra forze governative e forze regionali e che rischia di incrinare i già fragili equilibri, si è inserita la minaccia globale della pandemia, che miete indiscriminatamente vittime sia nelle regioni più ricche del paese sia nelle aree rurali più povere.
Il Tigray è una delle 9 regioni del Paese, quella che si trova più a nord, prevalentemente abitata da una popolazione di etnia tigrina e dove i salesiani hanno 4 presenze: Makallé (la capitale della regione) Adwa, Shire e Adigrat. Dalla prima presenza salesiana, che risale all’ormai lontano 1976, le missioni salesiane hanno percorso molta strada a fianco della popolazione locale. In questi 45 anni sono moltissimi i bambini che hanno frequentato le scuole materne ed elementari delle 4 missioni, migliaia di ragazzi hanno potuto ricevere una formazione professionale che potesse garantire loro un futuro lavorativo senza abbandonare la terra di origine e costante è stato l’aiuto prodigato in favore delle fasce più deboli come i bambini e i ragazzi di strada. Oggi i missionari impegnati sul territorio sono 25 e mandano avanti le opere salesiane, gli oratori, le scuole, le parrocchie.
In un contesto di povertà strutturale l’invasione di locuste dello scorso novembre ha ulteriormente aggravato una situazione già compromessa dagli altri fattori sopracitati.
Per avere una vaga idea della portata di questa catastrofe è sufficiente sapere che miliardi di insetti – sciami che possono raggiungere un’estensione pari a una città come Milano – hanno colpito diversi Paesi e purtroppo l’Etiopia è stato uno dei più danneggiati. Una regione che era riuscita a risollevarsi dalla carestia attraverso un’attenta riorganizzazione delle risorse idriche non ha potuto difendersi contro un evento naturale di queste proporzioni e la conseguenza è stata la perdita dell’80% del raccolto.
Il triste e più vistoso risultato non si è fatto attendere e ha un nome preciso: fame. Centinaia di migliaia di persone vivono in condizioni drammatiche, la carenza di cibo debilita intere famiglie e la pandemia non permette in ogni caso di svolgere quei piccoli lavori alla giornata che consentivano di mettere qualcosa nello stomaco. Le condizioni di salute così precarie favoriscono il dilagare di malattie, da quelle endemiche al Covid-19.
I salesiani si sono attivati immediatamente per portare un aiuto concreto alla popolazione e Missioni don Bosco si è impegnata a sostenerli attraverso una raccolta fondi che possa assicurare il costante e indispensabile quantitativo di cibo per garantire la sopravvivenza a queste persone. Alimenti che possono essere reperiti in loco e che, oltre a dare un piccolo contributo all’economia locale, permettono ai missionari di risparmiare il costo di sdoganamento di container spediti dall’Italia, che rischierebbero di non arrivare a destinazione.
Sono stati individuati alcuni alimenti che risultano essere più efficaci per combattere la fame: una fornitura di Famix (una miscela di farina, soia, latte e uova) può sfamare 10 neonati per un mese, un pacco alimentare composto da 25 kg di farina di frumento, 5 litri di olio da cucina e biscotti multivitaminici allontana lo spettro della fame per una famiglia di 4 persone.
La lotta alla fame è il primo passo per difendere la dignità umana e contrastare la povertà attraverso il cibo donato è l’arma pacifica più bella che si possa immaginare.