Le speranze per il Venezuela sono appese a molti fattori economici e politici dei quali non si vede ancora l’esatta consistenza. Ma certamente sono legate anche alla possibilità di salvare dalla disperazione e dalla mancanza di prospettive le giovani generazioni per aiutarle non solo dal punto di vista nutrizionale e sanitario… l’obiettivo è sostenerle alimentando la fiducia nella vita.
È quanto stanno praticando i seminaristi salesiani di Caracas e delle altre città venezuelane dove, fra aspirantato, noviziato e studentato, stanno costruendo il loro futuro ministeriale. Sono coinvolti in prima linea in questi mesi per dare soccorso a bambini e ragazzi che non hanno mai vissuto il benessere dei loro genitori, e che devono essere aiutati a capire che un modo diverso di vivere, lontano dagli stenti e dalla violenza, è possibile. Parrocchie, scuole e oratori sono diventati anche centri di prima assistenza per combattere la fame e le malattie, anche quelle che sembravano debellate grazie all’igiene e alle diverse profilassi. Certamente questo momento storico darà forti connotazioni al loro essere sacerdoti e coadiutori in futuro.
Fra loro c’è Rafael (usiamo un nome diverso da quelli vero per difendere la sua identità) che è nato in una città del nord-ovest del Venezuela, con i genitori che gli hanno dato tre fratelli maggiori e poi hanno divorziato. Importante per lui l’ancoraggio affettivo a una delle nonne, che in una città vicina lo ospitava nel periodo natalizio. In una di queste occasioni partecipò a un campo vocazionale della Chiesa cattolica. Frequentò il catecumenato nonostante la contrarietà dei genitori, appartenenti a una setta di cui lui stesso era membro, fino a raggiungere il momento del battesimo a 17 anni. Il rito si tenne nella cappella del centro dove si era sviluppato il suo itinerario spirituale, la sua madrina la donna che era animatrice di quel servizio apostolico.
Ancora giovanissimo, scoprì la spiritualità di san Francesco di Sales, se ne innamorò prefigurando così il suo cammino fra i figli di Don Bosco. Dovette accelerare le tappe per ricevere la prima comunione e la cresima, nell’ultimo anno di scuola superiore. Ancora un anno di attesa, fra incontri e ritiri, poi l’ingresso ufficiale fra i salesiani come aspirante.
Non era entrato in un luogo “comodo”: fu mandato in una missione con gli indios Guajiro per “farsi le ossa” e mettere alla prova la sua vocazione. Tornò, fu accolto nel pre-noviziato e coinvolto nell’animazione di adolescenti nei quartieri di una città e di un altro Stato. “Ho sentito che Gesù mi chiamava ad essere parte della Chiesa come salesiano consacrato. Ho sentito un forte desiderio di dare la mia vita a tante persone che hanno necessità, di portare loro Gesù” afferma Rafael, “ma soprattutto ho sentito il compito di aiutare i più piccoli a far parte dell’oratorio della vita, com’è successo a me”.
Entrò nel noviziato, a San Antonio de los Altos, dove l’impasto dei suoi talenti e delle sue curiosità divenne funzionale al servizio pastorale. Il dono di suonare la chitarra lo ha messo vicino a un gruppo di giovani che volevano formare la loro band musicale; gli assaggi di ingegneria delle telecomunicazioni, di economia aziendale e di criminologia che avevano fatto parte del suo percorso di studi gli tornano utili per avere un altro “occhio” sui suoi ragazzi. Infine è approdato a Caracas.
Attualmente Rafael è coinvolto nella pastorale del centro salesiano giovanile, che accoglie più di 40 giovani e circa 100 bambini nelle esperienze di formazione umana cristiana. Là sta incontrando quotidianamente la durezza della vita nella capitale, la condizione estrema a cui sono sottoposti i suoi abitanti e i giovani in particolare.
Fra gli amici di Missioni Don Bosco c’è chi lo ha “adottato” per consentirgli di percorrere la sua strada vocazionale fino in fondo. Ringrazia per l’aiuto materiale ma chiede soprattutto: “Non smettere di pregare per me e per il cammino che ho intrapreso da quando Dio mi ha chiamato. Che Maria vi accompagni”.