Carissimi tutti, questa volta credo di battere un record: essere il primo a farvi gli auguri di Natale. Un largo anticipo, ma la ragione è legata al mezzo di trasporto: sono su un volo che mi sta riportando a Roma dopo tre giorni passati con i salesiani dell’Etiopia ad Addis Abeba. Adesso la sfida è quale carta scegliere dal mazzo di quanto vissuto. Due carte soltanto, perché gli auguri di Natale non diventino lunghi come la quaresima.
La prima è Donato. Vuole essere chiamato così, senza brother o signor, solo Donato. È un salesiano sulla settantina, Donato di nome e di fatto ai ragazzi di Mekanissa, uno dei quartieri di Addis, là da più di 30 anni. Quello che si vede oggi in quel centro impressiona per proporzioni e organizzazione: due scuole, una elementare con circa 1600 studenti e una superiore con un migliaio di allievi. Di fianco una scuola professionale, che sta per raddoppiarsi in una parte nuova, ancora da inaugurare. Poi la parrocchia: è la chiesa cattolica come dimensioni più grande che c’è in Etiopia, dove i cattolici sono lo 0,5%, anche se si tratta di uno dei Paesi del mondo di più antica cristianità. I copti ortodossi etiopi erano già lì saldamente stabiliti prima che Costantino desse la libertà di culto ai cristiani in Roma nel 313.
C’è al centro la casa della comunità, con 6 salesiani e 10 giovani prenovizi, che stan preparandosi ad abbracciare questa vita e portare avanti la stessa missione. E infine Donato, con l’oratorio. Ho passato meno di un’ora con lui ieri pomeriggio, ma sentire come parlava dei più piccoli e i più poveri del quartiere, per i quali ogni giorno organizza circa 400 pasti gratuiti, vedere la cura che ha degli ambienti riservati a loro, che con un pizzico di orgoglio diceva essere anche migliori di quelli che servono come mensa per gli allievi della scuola… Mi tornava alla mente Bro John in Nigeria e in Ghana, partito a 96 anni per il Paradiso qualche mese fa. Sono dei Don Bosco in maniche di camicia che hanno fatto di ogni minuto della loro vita un dono, senza guardare né colore, né etnia e neppure il credo. L’oratorio di Donato rispetta le proporzioni dell’Etiopia. Forse lo 0,5% di quelli che lo frequentano sono cattolici.
Quando ci incontriamo con persone così, qualunque sia la latitudine o longitudine e la forma di vita con cui si sono DONATI e si stan donando agli altri, a partire dagli ultimi, siamo a Betlemme: entriamo nel mistero della incarnazione dalla porta principale. Ho approfittato di questo viaggio per leggere l’ultima enciclica di Papa Francesco “Sull’amore umano e divino del cuore di Gesù Cristo” – Dilexit nos. Mi è rimasto impresso il n° 179, dove parla di San Charles de Foucauld, che aveva scelto come simbolo cuore e croce e come motto Iesus Charitas. Francesco lo cita: “Il nostro cuore come quello della Chiesa, come quello di Gesù, deve abbracciare tutti gli uomini”. Fratello universale, lo hanno definito. Se prendiamo sul serio il Natale, non possiamo deviare da questa strada, anche se i nostri numeri saranno più piccoli di quelli che entrano ogni giorno a Mekanissa.
La seconda carta più che descriverla ve la faccio vedere. È una delle croci venerate in Etiopia. Mi dicevano che sono una settantina di tipi… con tradizioni secolari, anzi millenarie, come loro radice. Basta questa per cogliere un carattere loro tipico che si sposa molto bene con il tempo in cui stiamo entrando, l’Avvento. È una croce fatta di croci che si espandono verso i 4 punti cardinali. Vado subito al nocciolo: è un amore che su quella croce ha raggiunto il suo massimo e che vuole arrivare dappertutto. Tra il legno della greppia e quello della croce c’è una parentela strettissima: è lo stesso mistero di incarnazione, passione, morte e resurrezione che diventa carne. Non solo la sua, anche la nostra. Anzi, tutto per la nostra: per noi uomini e per la nostra salvezza.
Adesso l’augurio: che ci sia donato di diventare anche noi almeno un po’ di più un dono per quelli i cui sentieri di vita si incrociano con i miei, perché l’Amore che da Betlemme vuole portarci fino al senza fine della resurrezione possa farsi carne in tutte e due: in me e in chi mi sta davanti.
Papa Francesco è un innamorato di Teresa di Lisieux. Si vede da come ne parla in questa sua ultima lettera. Visto che è Teresa di Gesù Bambino lasciamo a lei l’asso nella manica. “…Più si è deboli, senza desideri né virtù, più si è adatti alle operazioni di questo Amore che consuma e trasforma! … È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore” (Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, in Dilexit nos 138).
Don Silvio Roggia