Nato a Novello (CN) il 28 febbraio 1949, ordinato sacerdote nel 1967, l’anno successivo – dopo aver conseguito la licenza in Teologia – ebbe l’incarico di delegato di Pastorale giovanile a Torino Valdocco. Aderì all’invito di dare corpo al “Progetto Africa”, partendo nel 1982 alla volta della Nigeria, dove rimase fino al 2017. È mancato a Torino il 29 novembre scorso.
Quando nel 1980 prese la decisione di offrirsi per la nuova missione in Nigeria, don Vincenzo Marrone ne diede comunicazione ai giovani animatori di Valdocco. Con loro aveva condiviso anni di trasformazione dell’oratorio, dalla forma consegnata dalla più recente tradizione post bellica – con una crescente domanda di accoglienza da parte dei ragazzi di un quartiere che accompagnava la crescita esponenziale dell’industria a Torino – a una forma inedita che godeva della spinta del Concilio ecumenico Vaticano II e faceva i conti con la “contestazione giovanile”.
Di fronte ai problemi che sorgevano e alle vicende che molta parte della Chiesa avvertiva come un Calvario, don Vincenzo affiancava la “teologia del Natale”: l’incarnazione di Dio come accettazione della debolezza umana e conversione di questa attraverso la grazia di un dono imprevedibile e davvero “rivoluzionario”.
La sua capacità di organizzare e soprattutto di motivare nel profondo le attività in quello che era il primo oratorio di Don Bosco non si disperse con la sua partenza per il “Progetto Africa”: lasciò a una generazione di ventenni la responsabilità di proiettare l’oratorio fuori dal cortile, di aprirlo ai giovani di ogni condizione sociale e spirituale.
L’imprinting originale di Valdocco fu decisivo per colorare la nuova missione degli stessi valori, della stessa intraprendenza, della stessa relazione con il mondo circostante, così vicini allo spirito delle origini. Quasi avesse portato a termine la “missione” nel cuore della salesianità, procurò di trasferirla nei nuovi spazi di Akuré, dove giunse il 5 novembre 1982 e diede forma e sostanza alla prima opera salesiana nel Paese più popoloso – ossia più ricco di gioventù – dell’Africa.
Insieme con i confratelli percorse con la giusta cadenza i passi per arrivare a nuove città: Ondo, Lagos, Abuja (la capitale) e Ibadan. Qui finalmente maturò la possibilità di aprire uno studentato per formare i salesiani di domani. Dopo aver battezzato e condiviso il Vangelo, don Vincenzo aveva incominciato a vedere intorno a sé giovani che volevano percorrere la strada di Don Bosco. Teneva in tasca la corona del rosario, e la sera lo recitava con loro: il pensiero della buona notte rassicurava e muoveva l’animo degli studenti che ormai l’avevano identificato come un padre: “our father” era il nome con cui lo chiamavano.
Fra questi giovani anche Theophilus Ehioghilen, oggi sacerdote salesiano e corresponsabile dell’animazione missionaria in Piemonte. Lui considera don Vincenzo colui che ha “portato lo stile e l’atmosfera dell’oratorio in un Paese fatto per la maggior parte di giovani… un dono dal valore incalcolabile”. Dal suo sguardo prospettico giudica questa come “una rivoluzione educativa che passa da una generazione all’altra, e si allarga sempre di più”. Don Theo ha partecipato dall’altare al funerale di don Vincenzo Marrone insieme con don Silvio Roggia, uno dei missionari che raggiunse don Vincenzo in Nigeria. È lui a condividere la fecondità della missione: “Tanti di quei giovani sono diventati salesiani… in tutta la Nigeria, il Ghana, la Liberia, la Sierra Leone, ultimo il Gambia: sono adesso 169 salesiani (94% locali), 13 novizi, in 20 centri”.
Come succede in molti funerali delle persone che hanno lavorato senza clamori, anche quello di don Vincenzo è stato momento di rivelazione dei risultati di un impegno tenace. Non si è negato come “pioniere” quando avrebbe potuto governare i frutti delle opere avviate, accettando anche destinazioni a dir poco delicate: come quella del 2014, quando fu destinato nel nord della Nigeria a contatto ravvicinato con Boko Haram, la setta terroristica che imperversa in quell’area minacciando anche altre regioni del Paese. A marzo 2020 scrisse: «Sono missionario per dono di Dio, in una chiesa missionaria, una congregazione missione che mi hanno dato sempre ampi spazi e ‘croci’ se vuoi, ma che ho sempre amato (Chiesa e Congregazione), progetti superiori a me che mi hanno e mi entusiasmano ancora, perché sono progetti di Dio sempre nuovo e che rinnova la nostra giovinezza».
Lo spirito sempre pronto all’entusiasmo si manifestava anche nel volto di don Vincenzo, con un tratto che – abbinato ai suoi capelli biondi, un tempo rossicci e ora imbianchiti – non faceva pensare agli 80 anni compiuti quando lo abbiamo incontrato nell’ultimo anno a Missioni Don Bosco. Così come nella sua disponibilità a ritornare in Nigeria sia pure per un breve periodo quando il suo stato di salute e le minacce ricevute da Boko Haram consigliavano di proseguire le cure a Torino, all’oratorio San Paolo dove era stato destinato e rivestiva il compito di vice-parroco.
Ma erano stati i “suoi” ragazzi a chiedergli di tornare nel 2019 a predicare gli esercizi spirituali in vista del Capitolo Ispettoriale in preparazione di quello Generale che si sarebbe svolto a inizio del 2020. E sarebbe ancora tornato per osservare e consigliare, da buon “papà”, come tenere la barra dritta sull’obiettivo, operando per il bene dei giovani e mai per il proprio protagonismo.
Stava celebrando la messa di Ognissanti 2020 in parrocchia quando si è sentito male: nell’anno del Covid-19 ne è divenuto vittima anche lui dopo aver corso i rischi di altre malattie contagiose in Africa. È morto la prima domenica di Avvento, quella che ha per tema la vigilanza. Due date significative che delineano il suo percorso esistenziale: la santità diffusa fra chi serve generosamente i propri fratelli, l’attesa mai sopita del Dio-con-noi.
Leggi anche, La tua Africa: il saluto dei salesiani al funerale di don Vincenzo Marrone