Viaggio missionario in Amazzonia – 1° parte
Manaus ha circa tre milioni di abitanti, è completamene circondata dalla foresta amazzonica e si trova sulla sponda destra del Rio Negro che arriva da nord (le acque sono limpide, ma scure) in prossimità della sua confluenza con il Rio Branco che arriva da ovest (le cui acque sono di colore chiaro, sabbiose e quindi sempre torbide e limacciose, ambiente ideale per i coccodrilli) e subito dopo vi confluisce il Rio Medeira che viene da sud (con acque color marrone, come il legno). I tre fiumi formano, da Manaus all’oceano Atlantico, il grande Rio delle Amazzoni.
A Manaus i salesiani hanno numerose opere educative, ma soprattutto da questa città coordinano il lavoro delle opere missionarie fra gli indigeni dell’Amazzonia. La nostra destinazione è proprio una di queste opere missionarie: Iauaretê, all’estremo confine occidentale del Brasile, proprio di fronte al confine con la Colombia.
Per avvicinarci alla nostra meta dobbiamo prendere un altro volo aereo, fino a Sao Gabriel de Cachoeira (cachoeira significa “cascata”). Anche a Sao Gabriel ci sono i salesiani, da ben 103 anni: sono infatti arrivati nel 1915. La cittadina si sviluppa intorno al nucleo storico di edifici che furono il collegio salesiano e la sua grande chiesa, che oggi è la cattedrale della diocesi. I primi vescovi erano tutti salesiani, perché questa parte dell’Amazzonia – la regione dell’alto Rio Negro – è stata conformata dalla presenza dei Figli di Don Bosco. A Sao Gabriel si arriva solo per via fluviale risalendo il fiume con il battello in tre giorni di viaggio, oppure con l’aereo che la collega a Manaus due volte la settimana. Sao Gabriel è l’ultima, o la prima, cittadina indigena di questo immenso territorio pieno d’acqua e di vegetazione lussureggiante.
Per partire verso Iauarete dobbiamo aspettare il giorno successivo. Poiché il tempo ordinario di viaggio in barca sul fiume è di dodici ore, bisogna partire al mattino appena albeggia per essere sicuri di arrivare prima che faccia buio, la sera. Viaggiare di notte sul fiume infatti è troppo pericoloso perché non si vedono i tronchi, le rocce affioranti, i gorghi d’acqua e si rischia molto: se non in casi estremi, il viaggio si deve fare sempre alla luce del sole. Sole che picchia fortissimo, anche se non lo avverti finché corri sull’acqua e la brezza ti inganna con la sua frescura. Ma siamo all’Equatore, siamo in mezzo all’acqua che riverbera ulteriormente i raggi solari. Se non ci si copre completamente come nel deserto, alla sera i lembi di pelle esposti al sole sono rossi come peperoni e il riposo notturno ne viene compromesso.
Il viaggio in barca per tutto il giorno è per se stesso un’esperienza unica e per molti versi, straordinaria. Sveglia al mattino alle 5, veloce colazione e trasporto sul porticciolo dove ci aspetta la barca. Carichiamo i bagagli, le taniche di benzina e l’olio per il motore, qualche pacco di materiale per l’oratorio, e via!
In un attimo il pilota della barca – il signor Adifino, un indigeno di Iauarete che conosce il fiume come le proprie tasche – manda il motore a tutta velocità e noi scivoliamo velocissimi sulle acque controcorrente, saltando sulle creste delle onde. I primi cinque minuti sono di panico perché non capisci se al prossimo salto ti troverai sbalzato fuori dalla barca. Ma poi, un po’ ci si abitua e un po’ le acque si calmano, e procediamo verso la meta.
Risaliamo il Rio per circa un’ora fino alla prima tappa, che si rivela molto breve. Stiamo entrando nella zona esclusivamente indigena, l’esercito controlla l’accesso al fiume e verifica che abbiamo il permesso per entrare. Il controllo super veloce quando padre Roberto Cappelletti comunica al militare che siamo tutti salesiani ed andiamo alla missione. Un sorriso, un saluto con la mano e via di nuovo a tutta velocità con la barca che sfreccia a pelo d’acqua.
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