Etiopia: da Addis Abeba a Gambella

Viaggio missionario in Etiopia

1° giorno – Arrivo in Etiopia “Da Addis Abeba a Gambella”

Siamo arrivati in Etiopia. Addis Abeba presenta il volto di una metropoli in continua crescita. Ciò che più colpisce, nel breve tragitto dall’aeroporto alla casa ispettoriale dei salesiani, è l’enorme quantità di edifici in costruzione. Sempre più vicini e sempre più alti, segno che lo spazio sta diventando un bene prezioso.
Ma Addis Abeba facilmente inganna, se si pensa che quello sia il volto del paese. La nostra meta è Pugnido, un villaggio nel territorio di Gambella, città del distretto più occidentale dell’Etiopia, al confine con il Sud Sudan. Qui il caldo è soffocante (la massima raggiunge e supera ogni giorno 40 gradi!). La malaria è diffusa. La popolazione è nera nera. Non sono della razza etiope, per intenderci con la pelle color nocciola e i lineamenti delicati, tanto che anche il Re Salomone era rimasto affascinato dalla bellezza della Regina di Saba, che proveniva dalla regione dell’attuale Etiopia del nord. Gambella comunque, pur nella povertà degli edifici e delle strutture viarie, rappresenta ancora una estrema propaggine del nostro mondo occidentale.

A Gambella c’è una grande opera salesiana che comprende la Parrocchia (della chiesa cattedrale), l’immancabile oratorio salesiano, la scuola della durata di dieci anni (dalla prima alla decima), il college che prepara ad una professione lavorativa e un ostello, per i ragazzi che vengono da lontano e cercano un convitto dove alloggiare.

Pugnido dista circa 3 ore e mezza di macchina su una strada sterrata che va verso sud, sud est, sempre più vicino al confine con il Sud Sudan. Strada che a tratti ha un fondo buono e a volte presenta salti e buche che se non prese nel verso giusto ti mandano fuori strada o, se va bene, a sbattere la testa sulla cappotta dell’automezzo. Per evitare tutto questo si deve andar piano.

Don Filippo da tre anni vive e lavora nella parrocchia di Pugnido, assieme ad Abba Giorgio (Pontiggia di cognome, originario della provincia di Como, da 27 anni in Etiopia).
Portano avanti una parrocchia con la chiesa, l’oratorio, l’asilo infantile, un ostello con 60 ragazzi e ragazze. Animano poi altre 11 cappelle sparse nel territorio circostante e ben altre 6 chiese che si trovano dentro i due campi profughi che si trovano nel suo territorio. Sono profughi del Sud Sudan fuggiti durante le persecuzioni e gli scontri per l’indipendenza del Sud Sudan, allestiti e gestiti dall’ONU. La popolazione dei campi profughi è di etnia Nuer, mentre la gente del luogo e di etnia Anuak. Sono entrambe le etnie composte da neri altissimi e magrissimi. Si resta stupiti nel vedere le donne che camminano perfettamente erette per lunghi tratti di cammino portando sulla testa dei pesi enormi.

Qui siamo davvero nella “frontiera”. Non c’è acqua corrente, non ci sono servizi pubblici, la gente vive coltivando la terra ed allevando piccoli animali da cortile. È un’economia di sussistenza in cui non si muore di fame, ma certo che non porta sviluppo. Il denaro che circola è pochissimo, le bancarelle del mercato, quando ci sono perché spesso i prodotti in vendita sono esposti su una stuoia a terra, offrono prodotti di bassa qualità e, ovviamente, di scarso valore provenienti dalla Cina. I commercianti comunque non sono gli abitanti del luogo, ma gli habesha (“abissini” come sono chiamati gli etiopi dell’altopiano che sono la tribù dominante in Etiopia).

2° giorno – Vita a Gambella, Etiopia

La vita quotidiana a Pugnido scorre lenta, dal sorger della luce al tramonto. Sono, ogni giorno dell’anno, dodici ore di luce e altrettante di buio. Buio pesto perché la corrente elettrica è fornita al villaggio da un generatore elettrico che funziona a gasolio e per alcune ore al giorno.

Abba Filippo, con l’aiuto di un generoso benefattore di Missioni Don Bosco, ha fatto installare da una squadra di volontari venuti da San Donà Di Piave una batteria di pannelli fotovoltaici e questo, per l’opera parrocchiale di Pugnido, ha costituito un salto di qualità incredibile. Ora l’energia elettrica è gratis e c’è tutto il giorno e anche la sera, grazie alle batterie che si caricano durante il giorno quando la produzione di energia è superiore al fabbisogno delle attività pastorali e di vita dei padri salesiani. Con l’energia elettrica funzionano i ventilatori che danno refrigerio dal caldo soffocante che ristagna nelle aule dell’asilo, nelle camere dei salesiani (mentre sto scrivendo ci sono in casa 37 gradi e stiamo con le finestre chiuse per tenere fuori il caldo), nella chiesa parrocchiale….

Funzionano le pompe immerse nei pozzi che portano acqua ai serbatoi e ai numerosi rubinetti a cui i bambini e la gente va spesso ad abbeverarsi per reintegrare i liquidi che si consumano con il copioso sudore. Funziona il frigorifero per conservare le derrate alimentari, altro elemento fondamentale per non incorrere in facili mal di pancia…. Funziona la lavatrice, che la signora che svolge i servizi domestici ha fatto partire e poi le si è seduta di fronte guardandola e sorvegliandola, ancora e sempre stupita dal fatto che una scatola bianca giri in continuazione prima in un verso e poi nell’altro e che alla fine la biancheria risulti pulita e pronta per essere stesa al sole ad asciugare.

La gente di Pugnido vive senza TV, senza computer, senza giornali, senza l’auto, senza…. niente!

La maggior parte delle case sono capanne di paglia di forma circolare in cui vive la famiglia allargata: nonni, fratelli, mogli, numerosi figli. Una cosa bella è che qui non esistono orfani. Quando un bimbo resta privo dei genitori, e’ un membro della famiglia: uno zio, una sorella maggiore… che se ne prende cura e lo tiene in casa.

I ragazzi di strada privi di genitori sono un fenomeno della grande città. Sono in qualche modo un sottoprodotto della cultura occidentale che agglomera tante persone in spazi ristretti in cui sono favoriti i singoli o le famiglie piccole che possono disporre di un reddito fisso per vivere, con tutti i limiti e gli esclusi che questo fenomeno sociale sta provocando in tutte le grandi megalopoli del mondo.

I bambini che frequentano l’asilo il mattino e i ragazzi dell’Oratorio al pomeriggio si divertono davvero con pochissimo. Basta un copertone d’automobile che fanno correre all’infinito per tenerli occupati per ore. Questi pneumatici percorrono più chilometri ora spinti a mano dai ragazzi di Pugnido, di quando erano su strada!

Pugnido si trova a qualche decina di chilometri dal Sud Sudan, lungo il fiume Ghilo, affluente del Baro (il fiume che passa per Gambella e il cui nome significa “fiume degli schiavi” perché da questo fiume partivano barche cariche di schiavi catturati dai bianchi e poi spediti in America). Il Baro a sua volta è un affluente del Nilo bianco. Questi fiumi che nel periodo delle piogge si gonfiano d’acqua aumentando in maniera esponenziale il proprio alveo, sono infestati dai coccodrilli che diventano pericolosi e si avvicinano alle persone e ai villaggi proprio quando c’è grande abbondanza d’acqua. Per fortuna ora sono quasi in secca e di coccodrilli non se ne vedono proprio. La gente lungo le rive del fiume coltiva mais e ortaggi e i ragazzi e i giovani usano le rive del fiume come fosse il lungo mare dove fare il bagno.

Abba Filippo ha comprato per loro un mulino, sempre con l’aiuto di Missioni Don Bosco, che permette alla collettività di macinare velocemente i cereali. Mais in primis, ma anche sorgo e altri sacchi che arrivano dall’ONU come aiuti umanitari per la popolazione dei campi profughi e che poi arriva a sfamare anche parte della popolazione locale. A proposito di collettività, il termine Anuak che definisce questo popolo significa proprio “comunità/famiglia allargata/condivisione” ed infatti sono un popolo che svolge molto della vita in comune, condividendo quello che ha. Abba Filippo ci diceva che se un Anuak volesse aprire un commercio di piccoli alimentari andrebbe subito in fallimento perché arriverebbero tutti quelli della sua “comunità/famiglia” che si sentirebbero autorizzati a servirsi a piacere, perché quello che è di uno è di tutti. Un giorno poi Abba Filippo ricordava di essere stato invitato da una famiglia a mangiare carne di antilope (la cui caccia è ufficialmente proibita ma è carne molto buona, quindi….). Subito dopo essersi seduto con loro sono arrivati uno dopo l’altro altri cinque o sei uomini che a diverso titolo appartenevano alla famiglia e che desideravano approfittare di quel lauto pasto…. sicché il buon Abba non ha più mangiato l’antilope, ma l’ha solo potuta assaggiare, tanti erano quelli che si sono messi a tavola, autoinvitandosi.

Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco

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