L’impegno che i missionari di Don Bosco stanno portando avanti in Ucraina non è dissimile da quello che i salesiani sostengono in tanti di altri paesi del mondo, dove le guerre (oltre 59 quelle in corso quelle censite), le carestie (incombe di nuovo quella nel Corno d’Africa estesa anche al Kenya), la distruzione ambientale (Amazzonia, Congo, Madagascar), le crisi politico-economiche (Venezuela) richiedono interventi di sostegno materiale e morale alle popolazioni coinvolte.
Fra i 59 paesi in cui sono in corso combattimenti armati (sia pur in forma discontinua) che compongono la Terza guerra mondiale fatta “a pezzi” – come l’ha descritta il Papa – molti sono quelli in cui si trovano delle comunità dei Figli di Don Bosco. La logica che guida la decisione dei salesiani è quella di rimanere accanto alla gente per continuare e semmai potenziare l’opera di sostegno morale e materiale dei giovani, delle persone a rischio, delle famiglie. Nessuna messa al riparo attraverso l’uscita dal paese, che pure costituirebbe una legittima opzione soprattutto per i più anziani e i più esposti, ma l’azionamento della rete di solidarietà costituita dalla intera Congregazione salesiana, presente in 134 nazioni.
Il coinvolgimento dei missionari nel soccorso umanitario in Ucraina è il caso più recente e più vicino di messa a disposizione di persone e di mezzi per affrontare la richiesta di protezione, di soccorso alimentare e sanitario, di salvaguardia dei minori e di cura di chi vive sotto la continua minaccia di morte. Se si vuole identificare lo specifico obiettivo dell’azione secondo lo spirito di Don Bosco, l’attenzione al presente è sempre coniugata in due attenzioni: contenere e contrastare la logica di odio che ispira ogni conflitto, proiettarsi verso un futuro di convivenza e di ricostruzione. Questo specifico si traduce nella formulazione di progetti che costituiscano obiettivi raggiungibili nel breve e medio periodo, che siano segno di pacificazione.
Nella Bielorussia cosi prossima al coinvolgimento armato in Ucraina, Missioni Don Bosco sostiene la rinascita di una missione centenaria che predichi le ragioni della pace; in Colombia l’interminabile braccio di ferro fra potere centrale e territori controllati dai narcotrafficanti, gli educatori salesiani curano le ferite dei bambini-soldato; nella Repubblica Democratica del Congo lo sforzo immane di supplire al deficit di scuola statale soprattutto nelle aree rurali significa smontare alla base un sistema di sfruttamento minorile asservito agli interessi di un neocolonialismo; in Etiopia i salesiani sono stati vittime al pari di ogni altro membro della popolazione del Tigray del confronto militare fra i leader politici, così come ad Haiti sono minacciati da ogni lato dalla violenza dei gruppi paramilitari di matrice criminale allo stesso modo delle persone comuni. In Kenya i salesiani si stanno predisponendo ad affrontare una tragedia umanitaria della quale arrivano al momento scarsi segnali diretti all’opinione pubblica mondiale, mentre i leader politici di quella porzione d’Africa preparano fantomatiche ma non meno pericolose campagne di conquista militare.
In Palestina o in Siria la guerra strisciante procede lungo la sua strada, impantanata fra le diplomazie mondiali eppure così evidente: lì i salesiani continuano testardamente a rinnovare i loro progetti per la produzione del pane per tutti, a Betlemme, o per tenere in funzione gli oratori, ad Aleppo o a Damasco, quali unici spazi di aggregazione per ragazzi alla ricerca di un senso per il loro incomprensibile presente. In Sud Sudan, tra irrisolti conflitti tribali e speculazioni industriali, i salesiani – e Missioni Don Bosco con loro – accolgono i rifugiati e insistono sulla formazione che dia qualche prospettiva di lavoro qualificato. Il Venezuela, un tempo nazione trainante di tutto il Sud America, i Figli di Don Bosco soffrono la fame e la mancanza di servizi per la salute eppure capaci di condividere il poco che hanno nei quartieri della capitale o fra gli indios dell’Amazzonia.
“I salesiani in tutte le missioni restano immersi nelle realtà in cui sono, decidono sempre di stare con la gente, di ascoltare le necessità per mettersi concretamente a servizio del bene e della pace”, sostiene don Daniel Antúnez, presidente di Missioni Don Bosco.