Costruire in tempo di guerra

Costruire in tempo di guerra: se questo verbo si può usare solo al futuro mentre sono in corso combattimenti, eccidi, distruzioni, nel caso dell’attività di informazione lo si deve usare al presente. Giornalisti e commentatori, analisti e responsabili del bene pubblico devono esprimersi con l’obiettivo di costruire relazioni, verità, collaborazioni per la pace.

È quanto cerchiamo di fare a Missioni Don Bosco, dove quotidianamente affrontiamo progetti – e cerchiamo risorse per realizzarli – in ogni angolo di mondo. I salesiani sono presenti in 136 Paesi, e ciascun missionario si fa carico dell’evangelizzazione, ossia dell’annuncio di speranza che nasce dalla resurrezione di Gesù Cristo, a cominciare dalla risposta ai bisogni primari dei più piccoli: salute, cibo, istruzione, famiglia. Questa estensione di uno sguardo “paterno” si incrocia sempre più di frequente, negli ultimi tempi, con gli occhi di chi vede vicino e dentro il suo spazio una guerra: nelle regioni dove si direbbe quasi endemica una situazione di contrapposizione armata fra Stati e popoli, ma anche in quelle che pochi anni fa avevano dato segnali di convivenza e di sviluppo possibili.

Se il Papa ha allertato il mondo con largo anticipo sullo svolgersi di una guerra globale “a pezzetti”, ogni pezzetto corrisponde a un angolo della Terra nel quale la logica del costruire è affidata alla voce di chi cerca di soccorrere, di mostrare un’altra via possibile al tuonare dei cannoni e al penetrare dei missili. Una visione superficiale e sbrigativa relega questi pacificatori fra le persone che non comprendono come devono essere affrontati i conflitti profondi che attraversano l’umanità e le regole moderne dell’economia. Si cerca di confinare ai margini il pensiero di chi propone soluzioni di dialogo. Ma ignorando chi alza la mano per esprimere una volontà di pace, si toglie la voce alla grande, grandissima maggioranza delle persone – nei Paesi in pace come in quelli in guerra – che chiede di ripudiare l’odio e la violenza.

I comunicatori devono farsi carico, in primo luogo, di dare ascolto a questa voce. I Figli di Don Bosco, umilmente, non fanno azione politica; ma il senso il loro agire è sicuramente dalla parte di chi costruisce. Hanno costruito e stanno costruendo la pace in Congo, in Venezuela, a Timor Est, in Etiopia, ad Haiti e in Cambogia… l’elenco dei territori e le modalità di intervento mostra quanto “pianto” vi sia nel mondo ma anche quanta consolazione sia praticata. Un’altra situazione, che vede anche il nostro Paese direttamente coinvolto, è quella dell’Ucraina. Se nessun salesiano è chiamato a sedersi al tavolo di chi decide come fermare la guerra e rendere giustizia, fin d’ora la comunità presente fra Lviv e Kyiv, fino a Odessa o a Donetsk, sa cosa può e deve fare: portare aiuto materiale e spirituale, protezione, cura; salvaguardare l’umanità dei gesti, non fomentare l’odio nazionalista; immaginare il futuro.

Il presidente di Missioni Don Bosco, don Daniel Antúnez, è andato a inizio aprile a sostenere i confratelli (una ventina) rimasti a fianco dalla gente, anche nelle cittadine sotto tiro dell’artiglieria russa. Si occupano dei bambini rimasti orfani, di famiglie senza casa, di comunità affamate, di recupero fisico e psichico dei mutilati, di incoraggiare la resilienza nelle retrovie. A Lviv una casa distrutta da un bombardamento è stata già ricostruita: ci sono voluti ingegneri, muratori, finanziatori… ma anche costruttori di speranza. Tornato in Italia, don Daniel è impegnato a raccontare cosa ha visto: distruzioni ma anche donne e uomini impegnati a darsi una normalità di vita. Questo deve fare l’informazione se vuole essere completa e veritiera: costruire la verità nella sua interezza.

 

Questo articolo è stato scritto per la Giornata Nazionale dell’Informazione Costruttiva 2024 #GNIC2024.

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