Sono passati due anni dal viaggio in Ucraina con il mio confratello Danijel, immediatamente successivo allo scoppio del conflitto, e sono tanti i ricordi che mi vengono in mente; tanti i momenti che mi riportano a quei primi giorni di violenza, disorientamento, insicurezza… Soprattutto non posso dimenticare l’attraversamento della dogana, con le madri in fila che volevano lasciare il Paese con i loro figli: si trattava di salvare la vita, si trattava di salvare se stessi. Quando si è seriamente in pericolo, ognuno reagisce come può e non come vuole, capire questo non è stato facile.
Non è stato semplice entrare in un Paese in guerra, né è stato facile andarsene. Il giorno in cui siamo dovuti partire ho avuto la sensazione di abbandonare non solo i miei confratelli, che hanno deciso di rimanere al fianco della popolazione, ma quelle mamme e quei bambini che abbiamo incontrato alla frontiera, sia all’andata che al ritorno, di lasciarli senza sapere da quel momento in poi che cosa sarebbe successo…
Per questo, quando siamo tornati in Italia, abbiamo iniziato a pensare a cosa potevamo fare, come potevamo aiutare, qual era il bisogno reale e concreto dei nostri fratelli ucraini, quale era la risposta che dovevamo dare, in che cosa avrebbe potuto tradursi concretamente il nostro aiuto.
Lungo la strada abbiamo parlato con loro, abbiamo pregato, abbiamo fatto silenzio, lasciando parlare i nostri cuori ed è così che abbiamo deciso di aprire le porte di Valdocco, della casa di Don Bosco. È stata la cosa migliore che potessimo fare, la risposta migliore che potessimo dare in quel momento e ne sono, ne siamo convinti ancora oggi, che sento forte il bisogno di tornare, per fare sentire, ancora una volta, la mia vicinanza.
Sicuramente alcuni di voi si chiederanno perché, dal momento che la guerra è ancora in corso e non c’è alcun segno che possa finire – a meno che non avvenga un miracolo, come mi ha detto un confratello di lì qualche settimana fa.
Parto per tanti motivi: per andare incontro ai miei fratelli salesiani, alle persone che stanno ancora soffrendo le devastazioni della guerra, le mamme che abbiamo incontrato e che sono tornate lì, ma soprattutto si tratta di essere lì, di accompagnarli, di entrare in empatia con tutti loro, la nostra vita cristiana ci invita e ci muove a essere vicini a chi soffre: per noi di Missioni Don Bosco queste sono le priorità.
Oggi sento il desiderio, la voglia di entrare di nuovo nel Paese e incontrare i fratelli ucraini. Stare con loro, sapere cosa è successo, toccare con mano questi anni di dolore, di fame, di freddo, di violenza, di morte per dare almeno un po’ di sollievo. Ci penso, mi penso lì e sento dentro di me la voglia di gridare basta alla morte, basta alla svalutazione della vita, basta all’orgoglio che sconfigge la PACE.
Padre Daniel Antúnez