Fra tutti i problemi dell’Amazzonia, quello del dilagare dell’alcool come droga per i poveri e i semplici è forse uno dei meno considerati. Succede invece troppo spesso che la vita nei villaggi, durante i fine settimana, proprio a causa dell’uso eccessivo di alcolici, lasci strascichi pesantissimi sull’intera comunità: le frustrazioni, le influenze della vita in città, lo smercio incontrollato di alcolici diventano un inferno per i figli più piccoli, lasciati a sé, spesso maltrattati, terrorizzati dal comportamento degli adulti in preda all’alcool per giorni. Bambini e bambine trovano rifugio nella missione, dove più di una volta don Roberto Cappelletti, a Iauaretê, ne ha trovati alcuni nascosti sotto i giochi dell’oratorio, intenzionati a rimanere lì fino al lunedì. Da qui è nato il progetto che Missioni Don Bosco sostiene per assicurare una dimora protetta ai meno garantiti del villaggio.
È questo un aspetto della vita ordinaria in Amazzonia di questi tempi. Siamo lontani dall’idea di un paradiso felice i cui abitanti si beano della natura, i bambini giocano tranquilli, le donne impagliano a non finire le loro ceste mentre i mariti vanno a caccia.
L’alcool riesce ad arrivare in gran quantità fin dove occorrono giornate di viaggio in canoa per portare un medicinale o un quaderno per scrivere. Vengono in mente le storie dei pellerossa del nord America vinti, più che dai soldati a cavallo, dagli spacciatori che compravano merci pagandole col whisky.
In bilico fra salvaguardia delle tradizioni culturali e contaminazione positiva con lo sviluppo globale, si svolge anche l’azione dei missionari.
Missionari, una compagnia di (r)esistenza dei popoli indigeni
Don Cappelletti è fra coloro che cercano di preservare l’identità delle popolazioni native dell’Amazzonia irrobustendo al contempo la loro capacità di confronto con la violenta colonizzazione. Un equilibrio difficile per tutti, condizionato dalla pressione del governo centrale – che mira a guadagnare terreno per le coltivazioni agricole industrializzate – e dalla relativa facilità di corruzione del precario status di sopravvivenza dei villaggi.
In Amazzonia si gioca una partita delicatissima fra l’esigenza di sviluppo e il rispetto delle identità, fra la prorompente sete di guadagno e la delicatezza di un equilibrio fra uomo e ambiente. Per questa ragione il Sinodo Panamazzonico , fortemente desiderato per la Chiesa da papa Francesco è stato un laboratorio di portata mondiale. Certamente filtrato dal punto di osservazione dei pastori della grande comunità cristiana, questo Sinodo riguarda anche la definizione della civiltà globale in questo secolo che, dal punto di vista ambientale, presenta la drammatica scadenza degli Anni Cinquanta come termine ultimo per preservare il pianeta da un decadimento irreversibile per il genere umano e per molti dei suoi attuali compagni di vita, nel regno animale e in quello vegetale.
Abbiamo seguito – come i media sono stati capaci di informarci – il confronto fra la voce preoccupata dei vescovi e degli esponenti delle comunità indigene e l’indifferenza (o la finta solidarietà) dei governanti locali e dei potenti uomini di affari e politici. Mentre bruciava in maniera incontrollata la foresta, distruggendo l’habitat per i decenni a venire, qualcuno rivendicava il diritto a potenziare la crescita della propria economia, secondo un modello che tuttavia ha ormai mostrato tutti i propri limiti.
Come Noé che aspetta il deflusso delle acque
Di fronte a questa sfida cruciale, l’accoglienza di quanto è diverso per storia e per sensibilità è la condizione di partenza. Lo sanno bene i salesiani in quanto famiglia religiosa massicciamente presente da 150 anni fra gli Indio in Amazzonia. Se anche la nostra cultura di partenza li considerava come popoli da civilizzare, la vicinanza, la condivisione dei missionari sono riuscite a creare sintonia e a capire che può esserci un modo originale di celebrare l’incontro con Dio.
Il Sinodo Panamazzonico certamente non resta alle nostre spalle, incasellato negli eventi del 2019, ma è davanti a noi come prospettiva per riflettere e agire sulle nostre modalità di affrontare il presente e il futuro prossimo. Chi ha visto solo folklore, chi ha voluto cercare deviazioni dottrinali e pastorali potrà comprendere con calma che la direzione indicata da papa Francesco è quella giusta: la Chiesa dei più poveri.
Così come chi ha visto solo l’ennesimo generico appello alla salvaguardia del Creato, potrà capire che non si tratta di una nostalgia di estetica ambientale ma di sopravvivenza del mondo come noi lo conosciamo. Il Sinodo ha lanciato l’idea di un nuovo patto fra noi umani, di qualcosa che somiglia molto alla Nuova Alleanza dopo il diluvio.
Perché l’ottobre 2019 dovesse essere considerato un “mese missionario straordinario” lo stiamo capendo meglio adesso.
Dal cuore dell’Amazzonia a noi, il ringraziamento di Don Roberto Cappelletti
“Quando Giampietro Pettenon, ad inizio 2019, mi ha dato la notizia che la missione salesiana di Iauarete – quella che è da un po’ la mia missione, visto che ci vivo da 5 anni, sarebbe stata scelta per essere presentata e promossa al Concerto di Natale in Vaticano, mi ha dato una gioia immensa e mi ha fatto capire ancora una volta, come l’Amazzonia davvero stia a cuore a Missioni Don Bosco e a tutta la grande famiglia salesiana. Il partecipare poi personalmente a tutto l’evento, all’Udienza con Papa Francesco e alla registrazione del Concerto il 14 dicembre è stata davvero una grande emozione. Una emozione personale, chiaramente, ma anche qualcosa di più condiviso, che mi ha anche fatto scendere qualche lacrima dagli occhi, al solo pensare che la mia amata Iauarete – una missione davvero ai confini del mondo, nel mezzo della foresta e dei fiumi amazzonici, abitata da popoli indigeni nativi, persone semplici e poverissime – in quel momento veniva conosciuta da milioni di italiani la Vigilia di Natale su Canale 5.
E’ proprio bello per noi missionari poter sentire la vicinanza, l’affetto e l’aiuto di tante persone buone, perché non è sempre facile vivere in questi luoghi, molte volte affrontando da soli situazione che molti non potrebbero neanche immaginare. Grazie Giampietro, grazie a tutti voi di Missioni Don Bosco, che siete una grande famiglia votata alla solidarietà. Dio vi benedica.”
Padre Roberto Cappelletti, sdb