Amazzonia, anima del mondo. Una mostra ai Musei Vaticani

La mostra “Mater Amazonia – The deep breath of the world” è stata allestita in occasione del Sinodo speciale per l’Amazzonia. La accoglie la rinnovata sezione etnologica dei Musei Vaticani, denominata “Anima Mundi”. All’inaugurazione il 25 ottobre scorso, papa Francesco ha sottolineato l’importanza per il museo di “essere trasparente” (una scelta segnalata anche nell’allestimento, in cui predomina il vetro) e di essere “una casa viva abitata e aperta a tutti, con le porte spalancate ai popoli del mondo. Un posto dove tutti possano sentirsi rappresentati”.

Il museo ha aperto le porte ai nativi dell’Amazzonia, di cui si è scelto di raccontare le culture e l’ambiente attraverso oggetti provenienti dalle collezioni del Museo Etnografico e di Scienze Naturali “Missioni Consolata” di Torino e il Museo Etnologico Missionario di Colle Don Bosco.

Elisabetta Gatto, antropologa di Missioni Don Bosco, nel concepire il progetto alla base dell’allestimento ha scelto di dare voce a questo racconto attraverso tre grandi ambienti: il fiume, la foresta e la maloca, ovvero la casa comunitaria. “Mi hanno colpito le parole di padre Gaetano Mazzoleni, dei Missionario della Consolata, che ha vissuto oltre quarant’anni in Amazzonia: ‘Amazzonia è tante cose’. Per gli indigeni che la abitano, infatti, non è solo una foresta (o meglio, la foresta per eccellenza), come nel nostro immaginario.

Il fiume, la maloca e la foresta

Sono tre gli spazi riconducibili all’Amazzonia:

– il fiume, inteso come ciò che unisce e mette in collegamento, fonte di nutrimento, ma anche – proprio per questa ragione – elemento a cui è attribuita una certa sacralità;

– la maloca, spazio della vita quotidiana, familiare e comunitaria, ma teatro della vita cerimoniale e rituale;

– la foresta, concepita come fonte di sostentamento, custode dei saperi ancestrali, madre che cura, spazio sacro e luogo del mistero, luogo dell’ignoto da sfidare e del pericolo da superare.

In questi tre differenti scenari si è voluto esplorare la relazione con l’ambiente, la domesticazione della natura, la visione del mondo e la relazione con l’Altro.

Gli oggetti esposti, infatti, parlano della quotidianità e della sfera rituale, ma testimoniano anche l’incontro con i missionari: una vetrina, infatti, è stata dedicata al tema dell’inculturazione attraverso l’esposizione di oggetti religiosi della tradizione cristiana in cui è evidente l’influenza delle culture indigene.

Tre missionari che hanno “sposato” le genti dell’Amazzonia

A cornice dell’esposizione ci sono i volti e i nomi di alcuni dei missionari che hanno vissuto con i popoli amazzonici. Per la congregazione salesiana sono state scelte le figure di Suor Maria Troncatti FMA, missionaria tra gli Shuar in Ecuador dal 1922 al 1969; don Luigi Bolla SDB, missionario dal 1953 per 30 anni con gli Achuar in Ecuador e 30 anni in Perù; don Luigi Cocco SDB, missionario salesiano che ha vissuto dal 1951 al 1974 sulla Sierra Parima, in Venezuela. Anche per questa ragione all’inaugurazione della mostra “Mater amazzonia” ha partecipato il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon.

In un’ottica dialogica e di rappresentazione delle differenti espressioni della missionarietà, per arricchire il percorso espositivo si è pensato di coinvolgere altre realtà museali missionarie: hanno collaborato al prestito anche il Museo Missionario Indios Cappuccini in Amazzonia (MUMA) di Assisi e il Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma, senza dimenticare gli oggetti della collezione del Museo Etnologico Vaticano “Anima Mundi”.

Merita poi un Approfondimenti il discorso sulle Amazzonie: l’Amazzonia come archetipo delle foreste è stata messa in contatto e in relazione con la foresta pluviale del Congo e con quella del Borneo.

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