25 marzo, Giornata Mondiale contro la schiavitù

Fa un po’ effetto parlare di schiavitù in questi giorni in cui noi tutti ci sentiamo prigionieri nelle nostre mura domestiche o costretti a recarci al lavoro perché impegnati nella fornitura di servizi essenziali per la collettività. È una situazione che ci opprime sia nel fisico sia nella mente, ma che per nostra fortuna lentamente progredirà verso una soluzione positiva. Per molte persone la schiavitù è invece una condizione permanente e che non vede vie di uscita. 

Tra  il quindicesimo e il diciannovesimo secolo la tratta di esseri umani ridusse in schiavitù circa 13 milioni di persone. Vendute come un capo di bestiame e condannate a una vita fatta di stenti e umiliazioni. Tredici milioni sono una cifra impressionante ai nostri occhi, però…
Viviamo nel XXI secolo, l’età dell’oro per l’umanità, un’era  in cui la scienza e la tecnologia hanno fatto passi da gigante e reso la qualità della nostra vita migliore. Ma l’accesso a questa ricchezza non è garantito a tutti, basta analizzare i dati pubblicati l’anno scorso dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) dell’Onu e dalla Walk Free Foundation per rimanere allibiti.

Oggi si stima che più di 40 milioni di persone – oggi, non nel XV o XVIII secolo – vivano in condizioni di schiavitù: stiamo parlando di una cifra che è più del triplo di quella che vide uomini, donne e bambini strappati alle loro case durante la Tratta di esseri umani nei secoli scorsi.

“Una persona viene considerata in schiavitù se è costretta a lavorare contro la sua volontà, se appartiene o è controllata da uno sfruttatore o un “datore di lavoro”, se ha una limitata libertà di movimento o se è stata disumanizzata, trattata come merce o comprata e venduta come una proprietà” (fonte Anti-slavery international Association).
Il 25% di questi nuovi schiavi sono minori, più 10 milioni. E all’interno di questa condizione disumana tantissime sono le bambine e le ragazze.

Molti dei progetti salesiani nel mondo si occupano di questa emergenza umanitaria e sono  rivolti ai bambini e alla bambine perché sono i più inermi, i più deboli, i più emarginati.
I minori non hanno una loro autonomia economica, anche quando per mangiare svolgono lavori umili. I bambini più poveri spesso non hanno una rete famigliare che li possa proteggere. Le bambine rischiano ancora di più perché nel loro caso il protettore non è un’anima pia che ne se prende cura ma qualcuno che le sta sfruttando, in tutti i sensi.
In questo panorama così desolante vogliamo raccontarvi due storie importanti, una che da qualche anno cammina spedita verso la via del riscatto sociale, l’altra che sta dando i suoi primi bellissimi frutti. Sono progetti sostenuti da Missioni don Bosco con il fondamentale aiuto dei suoi benefattori e sono la dimostrazione che è possibile costruire qualcosa di solido anche quando sembra che la possibilità di riscatto sembra  impossibile.

A Cotonou in Benin le suore salesiane hanno dei centri di accoglienza, il primo dei quali si trova all’interno del mercato Dantokpa, il più grande dell’Africa. SOS Vidomengon accoglie le bambine e le ragazze che svolgono lavoretti umili tra le bancarelle, dà loro la possibilità di riposarsi in un luogo sicuro e ricevere sostegno e assistenza. Soprattutto fa loro vedere che un’altra vita è possibile: vivere in un ambiente sano e famigliare (il centro Laura Vicuña), imparare un mestiere (la casa del suore Maison de l’Esperance) e per le più capaci anche la possibilità di ottenere delle borse di studio per continuare gli studi.
Ad Ashaiman in Ghana sono invece i missionari salesiani che dal 2014, attraverso il Child Protection Centre, ospitano bambini e bambine tra i 6 e i 17 anni e garantiscono loro un percorso di riabilitazione e, quando possibile, il reinserimento familiare. Ora si sta portando avanti anche un progetto più incentrato sulla promozione femminile, per togliere dalla strada delle bambine e delle ragazzine che un’infanzia non l’hanno mai avuta.
Le prime trentatre ragazze hanno da poco ultimato la loro formazione e sono pronte ad affrontare il loro percorso di vita con la consapevolezza di avere degli strumenti spendibili sul mercato del lavoro e la certezza che verrano seguite passo passo, fino al raggiungimento della piena autonomia. Puoi scoprire questo progetto e comprendere l’importanza di dare concretezza e opportunità a chi queste possibilità non le ha mai avute.
L’augurio è che un giorno non sia più necessario avere una Giornata mondiale contro la schiavitù perché l’umanità si sarà affrancata dalle proprie ingiustizie. Ma nel frattempo impegniamoci per costruire qualcosa di bello, qualcosa di concreto, qualcosa che dia al termine emancipazione la sua dignità.

Leggi anche, Salvami dalla schiavitù: testimonianze di vidomegon

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