Padre Eric Meert
Padre Eric Meert
DATA DI NASCITA
LUOGO DI NASCITA
ORDINAZIONE
TERRA DI MISSIONE
missionari / Padre Eric Meert
Sono padre Eric Meert. Nel 1977 ho preparato la mia valigia e sono partito per il Congo (ex Zaire) come missionario, lasciando la mia famiglia e i miei 8 fratelli per nulla sorpresi dalla mia decisione. Aiutare era la mia missione. Avevo fatto alcune esperienze in campi di lavoro durante le vacanze estive a Bordeaux in Algeria e Tunisia dalle suore salesiane.
Ho avuto una buona istruzione grazie ai miei genitori che ci hanno fatto studiare in una scuola salesiana, perché da sempre legati e impegnati nella Chiesa in diversi movimenti di azione cattolica. Durante il liceo trovai un coadiutore salesiano che mi chiese se non avessi mai pensato di avvicinarmi alla vita salesiana. Da quel momento ho incominciato a riflettere e pregare e cercare di capire se il Signore chiamasse anche me alla vita religiosa. Ad un certo punto ho detto il mio SI’ al Signore.
Appena arrivato in Congo, ho affiancato alcuni giovani per aiutarli ad imparare l’arte della stampa, fondando poi la prima ed unica scuola di stampa dell’Africa Centrale.
Nel 2001 ho ricevuto la missione di coordinare una rete di 14 centri a Lubumbashi, dove tuttora accolgo, insieme ai miei confratelli, circa 750 bambini di strada con l’obiettivo di educarli, istruirli, e reintegrarli nella società e nella famiglia. Il Bakanja Ville è la “porta d’entrata” nel complesso delle Opere Mamma Margherita per i ragazzi che vogliono abbandonare la strada. Qui i ragazzi trovano chi ascolta la loro storia e, quando è possibile, noi salesiani ristabiliamo un contatto e li aiutiamo a reinserirsi in famiglia, senza mai dimenticarci di loro anche quando sono rientrati nel loro nucleo familiare originale. I giovani rifiutati dalle famiglie per diversi motivi, tra cui spesso perché considerati portatori di malocchio, li accogliamo e li seguiamo nel percorso di crescita. Diamo loro da dormire e da mangiare, e ci assumiamo completamente la responsabilità delle loro azioni. Anche nel caso in cui non avessero i mezzi finanziari per poter frequentare la scuola li facciamo studiare gratuitamente in uno dei nostri numerosi centri scolastici. Molti sono i ragazzi e le ragazze che oggi frequentano i nostri centri e che stanno studiando per diventare saldatori, muratori, falegnami, contadini, autisti, sarte, cuoche, camerieri/e… In questo modo possiamo regalare loro una speranza per il futuro.
La mia famiglia, benché sia lontana, mi supporta e mi sopporta; riesco a tornare a casa ogni cinque anni, ma torno più che altro per far piacere a loro, in realtà non sento la loro mancanza. La mia vita è con i bambini di strada del Congo. Ed io sono felice così.
Avrei l’età giusta per andare in pensione, ma non penso che ci andrò mai…
La mia missione è quella di dare una speranza a questi giovani e, finché vivono nel nostro centro, possiamo seguirli, ma non possiamo prevedere il loro comportamento quando finalmente sono in grado di lasciare le nostre comunità e rientrare nella vita sociale. Proprio per questo voglio raccontarvi di un episodio molto significativo per me, il racconto di un sacerdote di una piccola parrocchia nella foresta congolese. Una domenica dopo la messa in parrocchia, un giovane già adulto lo aspettava con una busta in mano e gli disse: “Questo è un regalo per i poveri della parrocchia”. Il giovane si presentava ben vestito e all’apparenza di famiglia agiata. Un po’ sorpreso il sacerdote lo ha interrogato per sapere in quali situazioni aveva conosciuto i poveri. Il giovane gli rispose: “Io so cosa vuol dire essere povero. Ero un ragazzo di strada di Lubumbashi e sono stato accolto dai salesiani di Bakanja-Ville. Loro mi hanno dato l’opportunità di lasciare la strada, di studiare al Centro e di imparare un mestiere. E ora ho un lavoro qui nella miniera. Questa è una parte del mio primo stipendio che voglio condividere con i poveri in questa parrocchia”. Il sacerdote meravigliato gli chiese. “Dimmi il tuo nome così posso raccontarlo ai salesiani di Bakanja-Ville”. “No, – disse il giovane – devi solo raccomandare loro di continuare ad accogliere i bambini di strada, ne vale la pena”. Non sempre dunque vediamo il risultato finale della nostra prima attività di accoglienza, ma questa storia ci dà la forza di continuare a lavorare con tutte le nostre forze e la nostra creatività per dare un futuro migliore a questi giovani.
La pagina del Vangelo che più mi piace leggere ai miei ragazzi è quella di San Giovanni 5, 1-16 “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina!” Il lavoro a Bakanja è questo. Noi fissiamo il nostro sguardo sul ragazzo che bussa alla porta e facciamo nostra la sua sofferenza. Con la nostra parola e la nostra amorevolezza lo mettiamo in grado di prendere in mano positivamente il suo lettuccio, il suo passato, anche se non possiamo cancellare la sua storia. Probabilmente ne porterà le conseguenze per tutta la vita. Ma per mezzo della nostra formazione, del nostro amore potrà camminare come un uomo nuovo verso un futuro migliore.
Sono molto contento di poter lavorare con questi giovani, perché sono gli stessi giovani con cui Don Bosco ha lavorato e per il quale ha dato la sua vita. E così, in questa missione in Congo, ci sentiamo privilegiati di poter dare la vita per questi ragazzi.
Con le nostre Opere Mamma Margherita noi diamo un futuro ai nostri giovani. Un lavoro del tutto in linea con la Chiesa e con il nostro Papa Francesco.