Andrea Comino
Andrea Comino
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missionari / Andrea Comino
Sono Andrea Comino, un salesiano coadiutore missionario. Sono originario del Monregalese e sono perito elettronico, e poi insegnante, praticamente da quando l’elettronica era ancora un mistero per i più. Sono partito per la prima esperienza missionaria in Asia negli anni Settanta e poi sono stato destinato in Sudan per la costruzione di scuole professionali.
La mia prima destinazione fuori dall’Italia (in particolare partivo dall’Istituto Agnelli di Torino dove ero entrato come docente nel 1961) furono le Filippine nel 1975.
Nel 1992 sono stato destinato alla Cambogia, mentre il Paese stava faticosamente cercando un suo equilibrio dopo la sanguinosa guerra con il Vietnam e la follia dei Khmer Rossi capitanati dal folle Pol Pot.
Fra il 1994 e il 1997 sono stato richiamato nelle Filippine per dare vita a una nuova scuola a San José, città frastagliata in 38 quartieri nell’isola di Mindoro.
Nel 1997 l’obbedienza mi ha portato in Nigeria, dove nei dieci anni precedenti si era costituita una feconda ramificazione della presenza salesiana negli stati di Anambra e di Ondo affidata alle ispettorie del Piemonte (Adriatica, Novarese e Subalpina). Anche in questo caso mi è stato chiesto di seguire la costruzione di alcune scuole professionali, ma la cosa più impegnativa è stata senza dubbio l’entrare nello specifico di una cultura tenendo conto dei difficili rapporti tra le diverse etnie presenti.
Fui poi chiamato a Khartoum, capitale del Sudan, paese a maggioranza islamica, per contribuire al passaggio dai comboniani ai salesiani di una scuola tecnica. Qui potei lavorare anche al fianco di mio fratello Giacomo, anche lui salesiano coadiutore partito missionario già da molti anni.
Quest’esperienza fu utile a me e mio fratello per prepararci ad altre due sfide estreme: il territorio del Darfur, devastato dalla guerra, che doveva rinascere per dare un futuro ai più giovani e il Sud Sudan, resosi indipendente dal nord, che doveva ricostruirsi a partire dall’istruzione di base. In entrambi i casi la “formula” era la costruzione di scuole accoglienti per ragazzi e insegnanti.
Attualmente sono incardinato nella missione in Kenya. A Nairobi mi sono occupato nell’ultimo anno dell’aggiornamento dei macchinari e conseguentemente degli insegnanti nel laboratorio di elettromeccanica. È questo uno dei problemi difficili da affrontare, anche per spiegarlo a chi ci sostiene: la necessità di offrire ai giovani la possibilità di formarsi per le professioni richieste dal mercato e soprattutto di conoscere l’evoluzione tecnologica per sapere utilizzare gli apparecchi di ultima generazione. Per questa ragione, quando mancano le risorse per portare l’insegnamento all’attualità tecnica ed economica, occorre un nuovo sforzo. Non sempre le rette, tenute basse per favorire i giovani meno abbienti, sono in grado di dare slancio all’ammodernamento.
Ma a me è sempre successo di veder compiersi un’opera grazie alla fiducia ormai conquistata fra i benefattori, che hanno destinato le loro offerte a progetti anche ambiziosi a volte. Sono stati da me percepiti come “miracoli”: a volte è la soluzione a un problema di sopravvivenza che giunge in extremis; a volte è il realizzarsi di quello che all’inizio appariva solamente un “sogno”. Ma uno dei miracoli che un missionario ha è quello della progressiva comunione con il popolo a cui è destinato. È un miracolo che richiama la polilalìa di Pentecoste, la capacità di parlare a ciascuno nella propria lingua dopo l’effusione dello Spirito Santo.
A Missioni Don Bosco mi dicono che anche raccontare la lunga esperienza (che sta arrivando a 50 anni) in terre lontane fa parte del tesoro da portare all’attuale impegno. Effettivamente i contatti che si sono creati nel corso del tempo stanno rivelandosi utili anche adesso alla Don Bosco Town di Nairobi