Cari amici,
la pandemia ci ha impedito per un bel po’ di tempo di andare a far visita alle opere salesiane sostenute da Missioni Don Bosco, ma finalmente abbiamo ripreso a viaggiare e siamo arrivati in Ruanda.
L’ingresso in questo paese è relativamente facile e sicuro perché le autorità locali hanno adottato protocolli di sicurezza contro il diffondersi del contagio, per i propri cittadini e per coloro che desiderano entrare in Ruanda, che l’hanno reso uno dei paesi più sicuri a livello mondiale.
E non è l’unico primato che detiene il Ruanda. La capitale Kigali ha vinto il premio di città più pulita dell’Africa… e anche di tante città italiane, dico io! Venite a vedere con i vostri occhi se non ci credete.
Strade con asfalto senza nessun rattoppo; di buche nemmeno l’ombra; aiuole fiorite e piante perfettamente potate ai bordi delle strade; marciapiedi senza inciampi e passaggi pedonali ben segnalati. Effettivamente il piccolo paese – il Ruanda è poco più grande del Piemonte – posto nella zona dei Grandi Laghi, sulla linea dell’Equatore, sta vivendo uno sviluppo economico del tutto particolare pur non possedendo le immense ricchezze naturali del vicino Congo.
Purtroppo il Ruanda ha anche un primato di atrocità che poche volte nella storia si è verificato. Il genocidio del 1994 – chi di noi non è più giovanissimo lo ricorda molto bene – è un fatto che è difficile anche solo da raccontare. In soli 100 giorni si stima che morirono sotto i colpi di fucile, ma soprattutto di machete e bastoni chiodati, un milione di persone, in particolare donne e bambini. Le due etnie del posto: gli hutu e soprattutto i tutsi hanno visto morire nel sangue i propri genitori, i fratelli, i figli. Spesso si sono verificati massacri all’interno della stessa famiglia o fra vicini di casa. Sono morti anche preti e suore che cercavano di salvare i loro fedeli. Ma al contempo ci sono stati anche uomini e donne di chiesa che sono state parte attiva nei massacri. Del tutto inconcepibile, per noi che ascoltiamo e leggiamo questi racconti drammatici. Il genocidio in Ruanda è stato uno shock collettivo che a distanza di 27 anni fatica ad essere superato.
In quella occasione l’ONU ha costretto i missionari salesiani europei a salire su un aereo e mettersi in salvo in Belgio. Ma loro hanno risposto che su quell’aereo della salvezza sarebbero saliti solo se vi facevano entrare anche i confratelli salesiani africani, oppure sarebbero rimasti a condividere la sorte che sarebbe loro toccata, tutti insieme. Fu così che li portarono in salvo tutti e che appena le condizioni di sicurezza lo permisero, ancora una volta insieme, fecero ritorno in Ruanda. Trovarono le opere salesiane devastate e completamente saccheggiate. Si dovette ricominciare tutto daccapo.
Abbiamo visitato l’opera salesiana di Butare, una città a sud del Ruanda, vicina al confine con il Burundi. Qui i salesiani hanno una grande parrocchia con una chiesa appena costruita, grazie all’intervento principale dei parrocchiani, di dimensioni degne di una cattedrale. Poi c’è il centro di formazione professionale che prepara cuochi, saldatori, falegnami, muratori, parrucchiere, sarte e c’è anche il Noviziato salesiano. È la casa di formazione nella quale vivono, studiano e pregano i giovani che si preparano ad essere salesiani consacrati nella Congregazione Salesiana. Questo anno i novizi sono 16 giovani dai venti ai trent’anni provenienti da Uganda, Burundi, Ruanda e Centro Africa.
Nelle periferie delle città, così come nelle aree rurali, le condizioni di vita non sono facili. C’è povertà ma non miseria. E la povertà è vissuta con dignità. Proprio a Butare mi hanno colpito tre situazioni di povertà silenziosa e quasi nascosta in cui i salesiani cercano di fare il possibile per aiutare questi sfortunati.
Girando fra i laboratori del nostro centro di formazione professionale ho sentito un bambino piccolo piangere. Ho chiesto ironicamente al direttore se avevano aperto anche l’asilo. Non ha risposto a parole ma ci ha accompagnato in una sala grande adattata a laboratorio di taglio e cucito. C’erano una ventina di ragazze madri che imparavano a fare le sarte, ovviamente con i loro figli piccoli accanto. Sono proprio ragazze di 16, 18 al massimo vent’anni che, illuse da un fidanzato con la promessa di un matrimonio, una volta saputo che erano incinte si è dileguato. Ci hanno ringraziato infinitamente per la possibilità di imparare un lavoro che le possa rendere autonome e in grado di mantenere la piccola creatura che spesso hanno ancora attaccata al seno. Una di loro, a nome di tutte, ha osato anche chiedere un ulteriore piccolo aiuto per avviare l’attività di sartoria una volta concluso il corso di formazione. Una macchina da cucire a pedale costa 100 euro. Per noi sono una somma accessibile a molti, per loro rappresenta un capitale quasi impossibile da trovare. È già tanto se riescono a racimolare qualcosa per comprarsi da mangiare e per l’igiene personale e del loro bambino.
Camminando in strada per andare dalla casa salesiana a visitare la nuova grande chiesa parrocchiale, si avvicina un giovane mingherlino a Hubert – il salesiano che ci accompagna. Lo chiama per nome e gli dice: ” Padre, non mi riconosci? Sono Petit” – il nomignolo datogli dai salesiani 10 anni prima quando, orfano dei genitori e vivendo con la sola nonna, gironzolava tutto il giorno per la strada e nei cortili della casa salesiana. “Vedi padre, ora ho 17 anni. Non sono più sporco e vestito male come allora. Non sono più un ragazzo di strada. I salesiani mi hanno iscritto gratuitamente al corso di carpenteria metallica presso il centro di formazione professionale e fra poco comincio a lavorare e a mantenere anche la nonna” e tutto orgoglioso ci presenta altri amici come lui – che hanno solo una parvenza di famiglia – e che sono avvicinati e aiutati come possibile proprio dall’opera salesiana di Butare.
Infine, nel laboratorio di cucina del centro di formazione professionale salesiano intervistiamo due ragazze: Nadine e Airenne – due sorelle ventenni – che scopriamo essere profughe burundesi fuggite con il fratello dopo la guerra scoppiata negli ultimi anni. Dal Burundi varcare il confine con il Ruanda ed arrivare a Butare è relativamente facile. La loro fortuna è stata quella di incontrare Don Bosco che le aspettava al di là del confine del loro paese. E a Don Bosco e ai loro figli sono estremamente grate perché, hanno ribadito entrambe, dandoci la possibilità di frequentare il corso per diventare cuoche, ci ha ridato la fiducia in noi stesse e la speranza nel futuro.
Giampietro Pettenon
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