L’umore nel nostro Paese alla vigilia di questa Pasqua non è festivo come al solito: ci sentiamo mancare quella sensazione – che la grande celebrazione rinnova anche nel mondo laico – di serena attesa del tempo futuro, di sospensione almeno temporanea dei grandi crucci della vita per sperarne una via d’uscita.
Quest’anno incombe su noi tutti la guerra in terra ucraina, non abbastanza lontana per farci pensare di non essere coinvolti, come accaduto per altre tragedie belliche negli ultimi anni: Siria, Etiopia, Afghanistan, Mali… Anzi, ci sentiamo chiamati a rispondere alla domanda “cosa decidere” di fronte di un’aggressione violentissima che ha scavalcato ogni tentativo di soluzione diplomatica e il senso di un minimo di umanità anche fra nemici armati e popoli fratelli.
Il giornalista di Avvenire Andrea Zaghi, insieme al quale Missioni Don Bosco ha aperto un fraterno canale di comunicazione con i missionari salesiani in Ucraina, registra in un suo recente articolo l’atteggiamento di padre Maksim Ryabukha rimasto ad aiutare la gente nella capitale Kyiv. Nei suoi messaggi, anche nei momenti più bui, c’è stato spazio per qualcosa di bello, qualcosa di positivo. Fino a due domeniche fa, quando le prime immagini e notizie sul massacro di Bucha hanno iniziato a fare il giro del mondo. Qualcosa che ha messo a dura prova anche lui. “Questa Quaresima e questa Settimana Santa resteranno per sempre nella memoria della mia generazione”,dice don Maksim all’Avvenire. “Credo che la nostra sia un’epoca di grandi santi, di martiri coraggiosi, di testimoni imbattibili della bellezza che hanno toccato e sperimentato con la propria vita cosa questo vuole dire. Non ho altra spiegazione e nemmeno giustificazione per quanto accade in questo tempo così doloroso”.
Dall’altra parte del mondo, in Cambogia, non si sente l’eco delle bombe in Europa. Fratel Roberto Panetto non potrà celebrare pubblicamente la Pasqua avendo stretto con il Governo locale un patto di servizio che esclude il proselitismo in un ambiente a quasi totalità buddhista. Circa negli stessi giorni (il 13, 14 e 15 aprile) si celebra il Capodanno cambogiano con la festa dell’acqua, il Songran. “Anche qui si fa riferimento alla morte” spiega il missionario, e aggiunge: “Il Signore si è offerto alla morte per tutti gli uomini indifferentemente dal loro credo. La maggior parte dei nostri giovani e ragazze sono buddisti e credono nella reincarnazione per giungere attraverso la purificazione nelle diverse vite al Nirvana”.
Roberto si spinge avanti: “La preghiera con il ricordo dei morti cos’altro è se non un riportare in vita nei nostri pensieri le persone che ci hanno preceduto. È come voler anticipare, almeno in una piccolissima parte, quello che avverrà alla fine dei tempi. Sarebbe interessante capire cosa si verifica nella mente e nel credo dei nostri giovani buddisti quando sentono parlare di Dio, di Gesù, di Maria, del paradiso ed inferno, della vita di don Bosco che ha risuscitato Carlo e degli altri miracoli che ha fatto. Il versare l’acqua come benedizione e purificazione riporta al nostro battesimo e confessione per cancellare i peccati e ricominciare una vita nuova. Certamente i giovani della Don Bosco House vivranno una bella porzione dei valori cristiani anche senza chiamarli così”.
In una condizione diversa si trova padre Riccardo Castellino, in Liberia. A Tappita la condizione di povertà è a volte disperante, ma la festa di Pasqua inverte la rotta del cuore. “L’Alleluia che presto tornerà a risuonare nella Liturgia è un grido di vittoria, di gioia. Stenta a uscire dalla gola perché sembra che viviamo in un mondo di preoccupati, di rassegnati, di sconfitti… e ci sono veramente tante ragioni per tale stato d’animo! Eppure piangere e lamentarsi non risolve i problemi. Bisogna fare qualcosa, e la migliore iniziativa è incominciare da me: prendere il coraggio a due mani e continuare a sperare, cominciare a cambiare qualcosa, quello che posso cambiare perché dipende solo da me. Contando non solo sulle mie forze, ma sulla forza di Chi ha sconfitto la morte, mi ha ridato speranza e mi assicura un futuro. In povere parole … contando su Dio, che abbiamo messo da parte, facendogli più posto nella mia vita”.
L’ultimo messaggio in ordine di tempo rilanciato da padre Maksim riporta la notizia di un soldato ucraino di vent’anni miracolosamente scampato alla morte. Gli occupanti russi lo avevano catturato ma è riuscito a scappare pur essendo stato raggiunto da un proiettile. Per due giorni si è fatto strada attraverso i boschi verso la sua famiglia. Ha raggiunto un ospedale dove i medici hanno appurato che era stato colpito al cuore. Il proiettile è stato rimosso con successo con un delicatissimo intervento chirurgico da una equipe di Ucraini e di Bielorussi. La ferita è stata suturata e il giovane è stato portato in terapia intensiva. Ora si trova nel reparto di riabilitazione: “Per alcuni giorni non ho nemmeno creduto di essere vivo” ha commentato quando ha cominciato a prendere piena coscienza della sua vicenda. È una storia che tiene accesa la speranza: un intero popolo colpito al cuore, grazie alla sua tenacia (persino inconsapevole della gravità del suo stato) troverà soccorso.