La terza tappa del viaggio di Missioni Don Bosco nell’Ucraina alla vigilia della guerra in corso – ma tutti ci hanno ricordato che il loro Paese è in guerra dal 2014, con l’occupazione della Crimea e del Donbass – e Lviv (Leopoli). Qui i salesiani hanno la loro sede provinciale, padre Michajlo Czaban è da poco il superiore e si è trovato a guidare i confratelli in questa fase a dir poco tragica. La nostra visita voleva toccare con mano una realtà intorno alla quale si articolano tre progetti: l’oratorio nella vicina Vynnyky, la Casa Famiglia, la scuola professionale, tutti sostenuti dai nostri benefattori. E cercar di comprendere come il carisma salesiano venga messo in gioco nella situazione presente.
Una storia che risale al 2015
La prima tappa ha un alto valore per il legame di Missioni Don Bosco con la visitatoria ucraina. A Vynnyky, 10 chilometri a est del capoluogo, è arrivato quattro anni fa il padiglione che ospitò il mondo salesiano all’Expo 2015 di Milano. Alle centinaia di migliaia di visitatori si dava possibilità di conoscere l’impegno per l’educazione dei giovani, reinterpretato alla luce dello slogan “Energia per la vita”. Si raccontava, con testimonianze anche in presenza da tutto il mondo, la concretezza del lavoro di accoglienza e di formazione nello spirito del Santo fondatore. Concepita per esser riutilizzata – nella logica, coerente al tema della stessa esposizione, di evitare ogni spreco – quella struttura ha preso la via dell’Ucraina, e tre anni dopo incominciava ad ospitare i giovani di questa cittadina. Il nome “Casa Don Bosco” avrebbe segnalato il luogo dove iniziare a costruire l’identità degli abitanti, oggi arrivati al numero di 30.000 grazie a un rapido sviluppo economico e demografico dell’intero Paese.
Una casa per famiglie, incominciando dai piccolissimi
Quando arriviamo ci sono due giovanissime che si esercitano nella ginnastica artistica e ci regalano un breve esibizione, guidate dalla loro maestra. È lunedì, il pieno c’è stato tra sabato e domenica, quando il padiglione diventa spazio di gioco per tutti e chiesa capace di accogliere centinaia di persone. Terminata la performance, arrivano due mamme con i loro piccoli nelle carrozzine. Si muovono come a casa loro; una inizia l’allattamento mentre chiacchiera con l’altra e insieme attendono l’inizio della loro lezione. Il giovane direttore, p. Grigorij Shved, spiega che la struttura si sta attrezzando per diventare anche asilo nido: l’ascolto dei bisogni della gente amplia e adatta il servizio dei salesiani. Molte sono le nuove famiglie di Vynnyky; i nuovi quartieri sono solo residenziali, mancano le strutture per la socializzazione e l’assistenza. Anche per questa ragione il padiglione sta continuando il suo adattamento: dopo i “cappotti” per affrontare gli inverni ucraini, gli spazi interni continuano a cambiare forma a seconda degli utilizzatori. Occorre ad esempio delimitare l’ampio spazio perché possa ospitare in aule adatte il catechismo, offerto a quasi 600 bambini. Il sole tramonta, e si percepisce quanto il clima possa essere rigido: le coperture metalliche, l’installazione dei bruciatori, le barriere contro la dispersione del calore sono gli interventi già realizzati per una efficiente gestione di questo padiglione. Il pensiero prossimo è per i giovani del calcio: nonostante la temperatura intorno ai 7°, una ventina di ragazzi corre sul vicino campetto di erba sintetica, la neve spalata ai bordi. Sono una parte dei 400 iscritti ai corsi che si tengono durante l’anno, e sta incominciando la stagione più frequentata. Per loro il progetto è quello di costruire gli spogliatoi perché non debbano più cambiarsi all’aperto.
Una casa per chi non ha casa e non ha famiglia
Alla casa di Lviv la vita dei salesiani è condivisa quotidianamente con i partecipanti alle diverse attività: studenti, insegnanti, ragazzi dell’oratorio, bambini delle materne e ospiti della casa famiglia “Pokrova”. L’intreccio è fortissimo, il risultato è una comunità pulsante senza esclusioni. Il superiore è davvero un padre, per carattere e per funzione: : è proprio il “papà” di 25 fra i 55 ragazzi ospiti, dal momento che a lui è affidata la tutela anche giuridica dei piccoli che non hanno una famiglia, avendo perso i genitori o essendo affidati dai servizi sociali. La stanza dei visitatori è al di qua di una porta che dà accesso alla casa-famiglia. Dinamici come si confà alla loro età, i ragazzi non sono mai abbandonati a loro stessi. Abbiamo la sensazione del grande rispetto gli uni degli altri, pur dovendo condividere uno spazio dove si cresce insieme dai 7 anni alla maggiore età. Uno degli animatori volontari è stato ospite della casa insieme con sua sorella: a 18 anni ha trovato una famiglia con cui vivere e ora è lì a farsi arrampicare dai piccoli, a rotolarsi sul tappeto con loro. A un certo punto ci regalano un canto, si radunano velocemente nella saletta più spaziosa, indossano le magliette che abbiamo portato come segno di amicizia, e salutano i benefattori. Quando si rende conto che non siamo ucraini, uno dei più piccoli prendo il coraggio di porre la domanda più serie che potesse porre: “Sai quando arrivano i Russi?”. “Non lo so, nessuno fra noi lo sa. Ma puoi stare tranquillo che se arrivano, i grandi sapranno proteggerti”. “Papà” Mychajlo è stato di parola: appena iniziata l’invasione ha caricato i suoi 55 ragazzi su un pullman e li ha portati in sicurezza fuori dall’Ucraina“.