Don Antonio Integlia è in Spagna per studiare la lingua castigliana, condizione necessaria per affrontare la sua imminente missione in Argentina. Sta vivendo quel periodo di tempo che intercorre fra l’accettazione da parte del Rettor Maggiore della sua disponibilità a vivere il carisma salesiano in una nuova terra e la partenza con tutti i bagagli senza biglietto di ritorno.
È un tempo di profonda revisione di vita, che segue non tanto una traccia da ritiro spirituale, ma un cambiamento che attraversa ogni fibra del proprio essere. “In questo autunno sono chiamato a lasciar cadere le foglie del mio albero, quello che dice chi sono, che mi dà sicurezza e protezione” esordisce in una video-telefonata con la quale Missioni Don Bosco vuole esprimere amicizia e vicinanza. “Sto vivendo quello che chiede il Vangelo: lasciate quello che avete e seguitemi. Pensi di esserti già distaccato da molti elementi della tua persona, invece scopri che c’è ancora qualcosa che stai trattenendo”.
Lo studio di una lingua è utile non solamente per la sua funzione di veicolo verso i giovani di un altro contesto culturale ma è metafora di una riformulazione del proprio essere, sottolinea don Antonio: “È una spiritualità, bella e faticosa, che ti fa tornare come un bambino che deve apprendere tutto, che si apre al mondo”.
Prepararsi alla missione si rivela dunque non come la formulazione di un piano di azione per il nuovo servizio (dall’organizzazione del viaggio alla sistemazione abitativa, dall’assolvimento di tutti i passaggi dal punto di vista sanitario alla ricapitolazione di ciò che non si deve dimenticare) ma piuttosto come un paziente affinamento del rapporto con il Signore. “Chiedo a Dio di darmi le capacità per affrontare il nuovo che mi attende, e poi mi trovo con santa Teresina a riconoscere che Lui non mi ha dato ancora la sua miseria, la sua fragilità”.
La fatica di apprendere la lingua che dovrà essergli abituale è come andare a cercare i pezzi per una costruzione: “ogni singola parola che sto apprendendo so che è un mattone per costruire la casa del Signore, e devo andare a guadagnarla a una a una”.
Il delicato sostegno dei confratelli spagnoli
La comunità che lo accoglie per prepararsi alla missione è quella di San Diego de Alcalà, nella cittadina di Alcalà de Henares, a tre quarti d’ora d’automobile da Madrid. Le attenzioni che i confratelli stanno manifestando a don Antonio sono silenziose e concrete: “Durante la preghiera comune rallentano il passo leggendo i testi sacri per facilitare la mia comprensione e partecipazione” sottolinea, “mi hanno accolto come un figlio che non aspettavano ma con il quale volentieri condividono il pane e il tetto”. Il direttore dell’opera, don Juan, gli è costantemente vicino per dare informazioni e sostegno. “La comunità” commenta “è la nostra forza”.
A Hanares i salesiani hanno una parrocchia, associata a un centro professionale e a una serie di servizi per i minori. Il missionario è stato coinvolto nel catechismo… come allievo! È un modo per imparare i termini che in spagnolo corrispondono a una teologia e a una pastorale già noti a don Antonio, ma lui sta vivendo questa opportunità come una rinascita alla fede. “Apprendo con i bambini, anche loro mi aiutano a comprendere gli insegnamenti. Mentre frequento con loro, loro stessi mi evangelizzano. Una bambina ha risposto alla domanda ‘chi sono i cristiani’ dicendo con semplicità folgorante: ‘quelli che amano Gesù’. Anche i bambini mi stanno aiutando a prepararmi alla missione”.
Nuove forze per la terra sognata da Don Bosco
La disponibilità che don Antonio ha messo nelle mani del Rettor Maggiore è totale. Il Papa ha raccomandato ai salesiani di “non dimenticare” la Patagonia: dunque mentre molti Argentini sono partiti per le missioni in altri continenti, così l’Europa in questo caso sta donando un missionario per un’opera dove andarono i primi Figli di Don Bosco.
“È molto probabile che io possa andare alla comunità di Trelew, dove abbiamo una casa missionaria” indica don Antonio, che tuttavia non vuole anticipare la decisione finale della congregazione. In quella città, che il maggior centro di lavorazione della lana in Argentina, furono destinati nel 1978 tre confratelli della sua stessa ispettoria, quella dell’Italia centrale: don Vittorio Albanesi, don Antonio Mei e Ubaldo Paciamami. Partirono da Vasto, l’ultima località in cui don Antonio ha condotto il suo ministero.
C’è una serie di coincidenze che fanno pensare a un piano operativo di ordine superiore al quale questo nuovo missionario si presta senza chiedere i dettagli. “Per me è come una mamma che lavora all’uncinetto: dal basso si vedono i nodi, percepisci che si sta realizzando un’immagine ben precisa ma puoi solo intuirla. A lavoro finito, se giri il tombolo, potrai finalmente vederla”.