Il Madagascar è un’isola straordinaria che in questa fase storica però si presenta con la drammatica ordinarietà di uno sviluppo mancato. Mancano risorse per l’alimentazione e per l’istruzione, bisogni che si delineano a valle di un sistema che non riesce neppure a garantire acqua potabile e salute di base ai suoi abitanti. I più piccoli sono quelli che ne patiscono maggiormente le conseguenze.
L’ultimo progetto che Missioni Don Bosco ha portato a realizzazione è stato proprio a riguardo di queste emergenze rese più drammatiche dalla diffusione del Covid-19. I nostri benefattori hanno sostenuto l’impegno dei salesiani di dare cibo (riso, fagioli, olio) e presidi igienici (sapone) alle 70 famiglie ospiti della Maison Don Bosco nella periferia della capitale, che diversamente sarebbero state decimate più dalla fame che dal virus.
Non sono il carattere dei malgasci o le avversità dell’ambiente a determinare quella povertà diffusa che relega il Paese alle ultime posizioni nella statistica mondiale della ricchezza. L’isola che fa da filo d’unione fra Africa e subcontinente indiano è ricordata negli annali dei navigatori come isola verde, dai testi dei naturalisti come uno scrigno di biodiversità, dalle arti come ispiratrice di bellezza e di benessere. Anche adesso l’immaginario collettivo attribuisce al Madagascar visioni da sogno tropicale per i turisti.
Ciò che ha impoverito il Madagascar sono stati i secoli di sfruttamento da parte degli stranieri per ricavarne ogni bene, dal legno delle foreste ai minerali, passando per cospicue campagne di sequestro degli abitanti per immetterli nel mercato degli schiavi, prima verso i paesi Arabi poi verso quelli europei. Fino al secolo scorso l’isola è stata a lungo contesa e alternatamente colonizzata da inglesi e francesi che hanno ovviamente disinvestito sullo sviluppo autonomo e fomentato lotte interne fra le diverse aree geografiche e culturali. Fino a poco più di una decina d’anni fa la situazione politica è stata caratterizzata dai residui di un regime determinato delle rigidità ideologiche e strategiche della spartizione del mondo fra due superpotenze.
Il Madagascar insomma si è affacciato al nuovo millennio con tutto il peso di una decolonizzazione mal gestita e condizionata dagli interessi che avevano attecchito profondamente sull’economia locale. Ne è indicativa la situazione dei coltivatori di riso, un prodotto che possiamo considerare tipico e di qualità dell’isola proprio per la sua storia più antica (l’arrivo dei coloni dalla sud-est asiatico) e le condizioni ambientali climatiche favorevoli (caldo e abbondanza d’acqua). Come ha constatato il direttore di Missioni Don Bosco nella sua visita del 2016 , i contadini che coltivavano per conto elle aziende francesi non sono stati in grado di mantenere l’efficienza dei sistemi di irrigazione quando è stata raggiunta l’indipendenza nel 1060. Per questo la produzione è diventata incapace non solo di soddisfare le richieste di esportazione ma le stesse esigenze di alimentazione dei residenti.
Non c’è stato da stupirsi se nel 2020 l’arrivo della pandemia ha trovato la parte di popolazione più debole del Madagascar in condizioni di estremo bisogno di soccorso.
Oltre l’emergenza sanitaria però resta quella di aiutare il popolo malgascio a costruirsi un’identità capace di affrontare il nuovo millennio, risalendo da un isolamento che è economico oltre che geografico. La via maestra per affrontare questo impegnativo presente è quello dell’istruzione: le generazioni più giovani devono diventare il centro dell’investimento del Paese. Su questo fronte i salesiani giovano da tempo un ruolo decisivo per dare sostanza a questo desiderio. Si deve partire dalle piccole, e a volte disarmanti, situazione attuali in cui il primo intervento da farsi e di mettere i bambini in condizioni di esserci e di seguire le lezioni. Cura dei rapporti con le famiglie, supplenza alla loro impossibilità di garantire un’alimentazione base: l’intervento al quale abbiamo chiamato i nostri amici a prestare attenzione per l’Epifania è stato un esempio di quale sia il livello, davvero basilare, dell’intervento per la formazione.
E poi ci sono per i salesiani i progetti davvero “sfidanti”, come il tentativo di mettere un piede laddove sono radunati i giovani più poveri del Madagascar: le carceri. Quando il nostro presidente rivisto quello di Antananarivo trovò i missionari impegnati ad animare qualche momento della settimana per aprire con i ragazzi, a volte detenuti per furtarelli dettati dalla fame, un canale di comunicazione che permetta loro di immaginare un futuro.
Prade Giovanni Corselli si spende per procurare ogni settimana un pasto degno di questo nome, vestiti per suscitare un senso di autostima indispensabile per superare umiliazione e senso di colpa, utensili e coperte per trascorrere con dignità il tempo della detenzione. Laddove il bisogno è più radicale là il cuore paterno di un salesiano batte più forte e ci coinvolge.