Non lo chiamano semplicemente mais: in Guatemala è detto “madre mais”, perché è la base dell’alimentazione quotidiana, perché fornisce nutrimento e consolazione, sicurezza e identità.
Volendo tentare un confronto, il mais rappresenta quello che è il grano nelle società del Mediterraneo, al tempo stesso cibo e simbolo che contraddistingue le tradizioni sociali, l’economia e le relazioni familiari.
Una pianta che da oltre 4000 anni viene coltivata in Guatemala e che, trasformata in cibo, è presente sulle tavole di tutti. Ma il solo mais non basta. La dieta di molte famiglie, a base di cereali, esclude gli alimenti proteici, indispensabili per la crescita, ma economicamente inaccessibili.
La denutrizione infantile in Guatemala raggiunge livelli altissimi: quasi un bambino su due soffre la fame, uno dei tassi più alti al mondo. La denutrizione cronica, che in alcune regioni tocca il 77%, ha conseguenze significative sullo sviluppo cerebrale. Inoltre la malnutrizione e la carenza di vitamine e minerali rendono il corpo più vulnerabile alle malattie: la mancanza di vitamina A, ad esempio, nella dieta compromette per il 40% il sistema immunologico dei bambini al di sotto dei 5 anni e una banale gastroenterite può portare a conseguenze letali. I bambini malnutriti, infine, hanno maggiori difficoltà di concentrazione e apprendimento.
Questo fenomeno non si argina semplicemente fornendo alle famiglie gli alimenti per una dieta più equilibrata, ma lavorando sul miglior accesso alla salute e all’istruzione come armi di lotta alla povertà.
In questo senso la Clinica Don Bosco di San Benito, in Petén, rappresenta un’opportunità importante per tante famiglie e tanti bambini denutriti e malnutriti di avere accesso all’assistenza sanitaria gratuita e di migliorare le loro condizioni di salute e il loro stile di vita.
Per andare a rintracciare le radici della cultura del mais siamo stati in Guatemala, nella regione dell’Alta Verapaz, tra gli indigeni Q’eqchi.