Una sfida per i Salesiani quella di restituire ai giovani che vivono per strada l’amore e le premure di una famiglia. E finalmente sabato 28 gennaio, con l’inaugurazione della casa per i “Bosco Boys” di Ibadan, in Nigeria, è diventata una realtà: un progetto residenziale di riabilitazione rivolto ai ragazzi di strada e in stato di vulnerabilità con obiettivi educativi e formativi. In una metropoli di 8 milioni di abitanti i giovani vivono costantemente “compressi” in spazi angusti, con pochissime prospettive per il futuro e un presente segnato da ristrettezze e soprusi. L’estrema povertà delle loro famiglie, l’emarginazione sociale, la disgregazione e le violenze domestiche sono all’origine della decisione di scappare di casa: una fuga, però, che si rivela un fallimento perché la strada mostra il suo volto fatto di pericoli, aggressioni, consumo di droghe, fame, sconforto, paura. Privi di un’ istruzione adeguata, spesso questi ragazzi diventano facilmente manovalanza di bande giovanili dedite a traffici illeciti.
Come fece Don Bosco con i ragazzi di strada della periferia torinese nella seconda metà dell’Ottocento, così i salesiani di Ibadan, con la stessa dedizione, hanno cominciato ad avvicinare i bambini e gli adolescenti che vivono per le strade della città e a offrire loro un’alternativa. Scopri la storia di uno dei Bosco Boys di Ibadan!
Il 1° ottobre 2015, giorno dell’indipendenza della Nigeria, è stato inaugurato il cantiere della casa per i Bosco Boys con incertezze e grandi speranze. Oggi il centro può ospitare fino a 40 ragazzi tra gli 8 e i 16 anni per un periodo di circa un anno.
La Bosco Boys Home è uno spazio pensato appositamente per loro, un luogo familiare dove sono seguiti nel loro percorso educativo e di formazione professionale (agricoltura, allevamento, artigianato) e aiutati a ridefinire gli obiettivi della propria vita e riguadagnare fiducia nelle proprie possibilità. Oltre ai missionari salesiani, il centro conta di istruttori, assistenti sociali e volontari. Obiettivo prioritario è quello di tentare una riconciliazione con la famiglia di origine e il reinserimento, laddove possibile, con un sostegno economico per gli studi o la formazione professionale del ragazzo. Se ciò non può avvenire, il giovane viene affidato a una famiglia finché non sarà autonomo e accompagnato con percorsi personalizzati in modo da offrirgli strumenti utili per orientarlo al mondo del lavoro.
Il senso di questo progetto è ben espresso dalle parole di Paolo Vaschetto, missionario salesiano a Ibadan: “Le speranze non sono di cambiare la vita di tutti i ragazzi di strada di questa città ma di cambiare il cuore di chi li ha abbandonati e sfruttati, creando la consapevolezza che con uno sforzo collettivo possiamo dare un futuro migliore a chi sembra senza speranza”.