Giornata Europea contro la tratta: se gli schiavi sono a casa nostra

La tratta di esseri umani ha molte facce. Lo spiega bene “Greta”, il gruppo di esperti “sul campo” che il Consiglio d’Europa ha istituito per affrontare il problema che ha assunto dimensioni planetarie. Nelle sue relazioni annuali, “Greta” richiama le fattispecie che rientrano nella definizione di “tratta”: l’atto di reclutare, di trasportare, di trasferire, di ospitare o di ricevere persone quando avvenga sotto minaccia, mediante l’uso della forza o altre forme di coercizione.

L’analisi si fa più sottile in corrispondenza dei modi più subdoli di imporre ad altri comportamenti e condizioni inumani: non solo la perpetrazione di un “rapimento” mostra il carattere del fenomeno, ma anche ciò che raggiunge lo stesso risultato attraverso la frode, l’inganno, l’abuso di potere. E ancora, si parla di tratta quando qualcuno si trova in posizione di vulnerabilità e deve accondiscende a dare o a ricevere pagamenti o altri benefici per ottenere il consenso di una persona che controlla un’altra persona. Il meccanismo si fa più complesso, ma l’obiettivo rimane sempre quello dello sfruttamento di un essere umano.

Se la parola “tratta” spiega la dinamica attraverso la quale si determina una situazione di dominio dell’uomo sull’uomo, l’esito è dato in primo luogo dalla prostituzione o da altre forme di ingaggio sessuale, ma subito dopo la servitù e la schiavitù anche nelle forme più “moderne”. Non è poi irrilevante il numero di soggetti costretti alla rimozione forzata di organi destinati alla cura o al benessere di altri.

È stato fatto un salto di qualità nell’analisi del fenomeno da parte delle forze di polizia, degli organi giudiziari e degli osservatori sociali: non può esistere la circostanza che un “lavoro” forzato derivi da un consenso della persona parziale, implicito o temporaneo che possa consentire di distinguere la “tratta” da una partecipazione consapevole e volontaria. L’articolo 4, lettera b) della Convenzione del Consiglio d’Europa è infatti molto chiaro al riguardo: l’ipotetico consenso di una vittima è irrilevante – sebbene possa esisterne una qualche traccia – quando siano stati identificati un qualsiasi condizionamento o obbligo in forma di violenza fisica o psicologica.

Se è chiara la natura del fenomeno, non è altrettanto facile l’intervento dei governi e dei sistemi giuridici. Per favorire lo sviluppo di politiche e di risposte amministrative e giudiziarie basate su ciò che riesce ad emergere dal fango della tratta, l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (con sede a Ginevra) ha sviluppato uno strumento di analisi approfondita: il Database Globale sulla Tratta di Essere Umani (Iom Global Human Trafficking Database). È il più grande database globale che contiene i dati principali sulle vittime di tratta: contiene oltre 50.000 casi individuali, con circa 5.000 nuovi aggiunti ogni anno. Attualmente lo Iom assiste da 7.000 a 9.000 vittime ogni anno, raccogliendo una miniera di dati sugli schiavi del nostro tempo. I dati acquisiti includono informazioni sulla condizione di partenza delle persone, sugli snodi geografici e i percorsi del traffico, sulle modalità di cattura, sulle organizzazioni malavitose dedite all’abuso, sugli ambiti tradizionali e nuovi di sfruttamento, mezzi con cui le vittime sono controllate e sul profilo tipo dello sfruttatore. Il primo passo da compiere per intervenire efficacemente contro la tratta è conoscerne la portata, risalendo all’origine a partire dai luoghi dove si pratica la prostituzione femminile e maschile (con la specificità di quella minorile) così come dalle piste che i disperati di Africa, Asia, America Latina percorrono alla ricerca di condizioni di vita migliori.

Presumiamo spesso di essere lontani da questi percorsi dello sfruttamento, ma le loro destinazioni sono sotto i nostri occhi: la sera lungo i viali di periferia o di giorno quando percorriamo una strada di campagna. Ne abbiamo evidenza quando muoiono le vittime del caporalato rurale o quando la cronaca cita l’omicidio di una prostituta.

Ed è proprio fra le pieghe del lavoro marginale che si può iniziare ad agire con efficacia per contrastare la tratta. L’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (Fra) nel suo ultimo rapporto pubblicato a settembre 2018 intitolato “Proteggere i lavoratori migranti dallo sfruttamento nell’UE: rafforzare le ispezioni sul posto di lavoro“ denuncia con evidenza che un “grave sfruttamento lavorativo è diffuso in tutta l’Unione europea”. La “Fra” segnala che le ispezioni sul posto di lavoro possono aiutare a contrastare questo fenomeno, e che pertanto esse devono essere rafforzate. E compiute in modo efficace: dalle interviste a oltre 200 persone da cui è stato ricavato il rapporto, risulta la grande capacità di datori di lavoro “senza scrupoli” di manipolare e di vanificare le ispezioni.

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