Una volta che il materiale è tutto raccolto, si passa allo stivaggio. Siamo andati a vedere l’avvio di questo lavoro, risultato anche un po’ didattico per noi. Bisogna essere capaci di far star dentro tutto, “alla fine non ci deve rimanere spazio neppure per uno spillo” spiega Flavio Filippi, poiché bisogna ottimizzare la spedizione, non trascurare nessun pezzo richiesto e semmai aggiungere quanto possa essere aggiunto anche fuori dalla lista iniziale: come i panettoni che Jim ha ricevuto da un commerciante della zona per aggiungere un pizzico di dolcezza in più al tutto. E ciò che per noi può significare eccesso alimentare, nel giusto modo in Africa può significare una scorta di calorie.
Vediamo movimentare attrezzi agricoli “perché solo il 70% della terra è attualmente coltivato in quella parte d’Africa” ricorda ancora una volta Jim, che spiega anche che l’acqua non manca per ottenere con un piccolo orto una valida integrazione al consumo di cibo delle famiglie. Ma oltre che sulle zappe che porta nel container è soprattutto sulla strumentazione per la scuola tecnica che il missionario posa le sue mani cariche di attesa. Il punto di arrivo, anche simbolico, della formazione è la consegna di una cassetta degli attrezzi. Avevamo sentito parlare di questo “attestato di diploma” che viene rilasciato dalle scuole salesiane del Sud Sudan; è costituito da una serie di utensili tale da lasciar stupito anche da noi un amante del bricolage: pinze, cacciaviti, chiavi a brugola e ogni altro utensile per tutte le “sfide” in officina. “Quando si presentano in un posto di lavoro con questa cassetta in mano” spiega con l’emozione che ogni volta che parla di questo non riesce a fermare, “i nostri ragazzi fanno capire subito che hanno un mestiere nelle mani, e che hanno possibilità di iniziare subito la loro collaborazione”.
Con la strumentazione didattica non può non accompagnarsi una serie di personal computer da mettere a disposizione delle mani e della testa dei ragazzi: sono la strumentazione più delicata, per i colpi e gli excursus termici che possono subire durante il trasporto, e Fulvio Filippi deve quindi studiare il modo di incastonarli nel modo giusto in mezzo a tutti ferri che dovranno viaggiare per arrivare fino a Mombasa (Kenya) via mare (10.000 km in linea d’aria) e poi da qui a Palabek (Uganda) su camion per 1.500 km.
Scuola e officina hanno bisogno di essere costruite e manutenute: è per questo che Jim ha calcolato l’invio anche di betoniere e di seghe da legno e di altre attrezzature per falegnameria e muratura: ingombranti e pesanti. Per questo il fido Flavio ha aggiunto alla lista un “Caterpillar”, un muletto recuperato da un fallimento rimesso a nuovo e testato da un amico meccanico, che viene farci vedere di cosa si tratta e come si muove con scioltezza. Fa anche la prova di infilarsi nel container: da osservatori avremmo scommesso che non sarebbe passato dal portellone, avendo il tettuccio di protezione. Ma al passaggio, rimane giusto quel centimetro di aria che era nei calcoli di chi l’ha allestito: la prova del nove che il nostro Jim ha trovato il partner giusto.
Rimane una domanda: con tutte le urgenze che può avere un campo profughi, che immaginiamo sottoposto allo stress della distribuzione del cibo e dell’assistenza medica, è proprio necessario preoccuparsi di installare una piccola officina?
La risposta è articolata, ma Jim ce la rende semplice ricordando il noto principio che ispira la cooperazione: “meglio insegnare a pescare che regalare un pesce”. Per il milione e mezzo di profughi, le giornate scorrono come per noi, e la durata del rifugio è diventata ormai la nuova città in cui si sviluppano relazioni sociali, piccoli commerci, attività artigianali. È un pezzo importante della ricostruzione di una “normalità” che va oltre la consegna dei sacchi di riso e di latte in polvere, per promuovere la dignità dell’abitare e del fare comunità. E poi ci sono i ragazzi: non è libertà per loro vivere un eterno tempo libero fra di loro o eseguire da piccoli automi i servizi richiesti dalla famiglia. Occorre che ricevano istruzione, che usino il tempo per costruirsi un futuro possibile, quelle che le capacità artigiane – anche solo quelle basilari – possono innescare. È il “solito” spirito educativo che propone a chi ha fame di imparare a pescare anziché dargli solamente un pesce: è questa la linea guida del missionario Jim Comino.
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