Kasumbalesa: l’ospedale della Diocesi cresce con la città che lo ospita

L’intuizione di costruire un ospedale in una cittadina di 200.000 abitanti nel cuore dell’Africa si sta rivelando provvidenziale. Dall’anno 2004, quando monsignor Gaston Kashala Ruwezi è divenuto vescovo della diocesi di Sakania-Kipushi nella Repubblica Democratica del Congo, ha osservato che Kasumbalesa, località a 15 chilometri da Lubumbashi, la popolazione è raddoppiata e le richieste di sanità diffusa sono cresciute.

La peculiarità di Kasumbalesa è di essere crocevia di traffici, con persone e merci che transitano dal Paese verso il confinante Zambia, e viceversa. A questo si aggiunge il grande fenomeno delle migrazioni interne all’Africa, che vedono l’esodo costante dalle campagne verso le città assieme al passaggio da sud a nord di migranti.

“Ho visitato la mia diocesi e dopo quattro anni ho potuto mettere a fuoco questa esigenza” spiega monsignor Ruwezi.: “nella Repubblica Democratica del Congo non esiste un servizio sanitario pubblico, le cure si ottengono solo a pagamento. E i centri ospedalieri sono pochi in proporzione ai residenti”. La stessa realtà gli era già nota da salesiano qual è (vicario ispettoriale fino alla consacrazione vescovile); ma il nuovo ministero gli ha consentito di allargare lo sguardo e di potenziare le possibilità di intervento.

Grazie alla presenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice è stato più facile delineare le richieste primarie e la sostenibilità del progetto. Ne è nato un ospedale costituito da un dispensario, da un reparto maternità e da cinque ambulatori specializzati. Il personale medico sarà selezionato in base a un concorso che si svolgerà a maggio 2019. Monsignor Ruwezi è riuscito a incanalare in questo progetto le risorse provenienti dall’Italia, e anche Missioni Don Bosco ha dato un contributo importante destinando ad esso una parte del 5 x 1.000 destinato dai suoi benefattori.

Dopo l’apertura degli ambulatori quest’anno, si prospetta la costruzione delle camere in cui ospitare le degenze che non possono esaurirsi in giornata. Il servizio sarà reso a tariffe agevolate, e per i più indigenti è prevista anche la gratuità. L’iniziativa ha pieno riconoscimento dallo Stato, ed è anche ciò che rende il progetto di Kasumbalesa particolarmente decisivo per lo sviluppo dell’area. È un presidio di fronte alla minaccia che al momento è in altre aree del Paese, l’ebola, di cui si registra una recrudescenza in questi mesi. Ma già ora ci sono malattie diffuse che richiedono cure attente e capillari: la malaria, l’aids, la tubercolosi. E poi, rimane la necessità di assicurare alle mamme un’adeguata assistenza medica e una capacità di intervento anche chirurgico nei casi di parto difficile. Le donne, insieme con i giovani, sono l’utenza in previsione più rilevante, in termini di prevenzione oltre che di intervento sanitario.

Quest’opera si colloca in un tempo e in uno spazio che presentano una forte esigenza di promozione umana. Il Congo sta affrontando una trasformazione epocale, non connotata da fattori positivi in tutti gli aspetti. Imprese multinazionali e fortemente appoggiate da governi stranieri (Stati Uniti e Cina) stanno estraendo risorse minerarie preziose, il coltan su tutte, destinate alle nuove e vecchie produzioni industriali. E tra la corruzione e il predominio di affaristi locali, poco di questa ricchezza ricade sulla gente comune. Molti Congolesi si trovano in condizioni di vera miseria, ma si può considerare che la maggior parte di loro non raggiunge uno standard minimo di benessere economico e culturale.

Ci sono state lo scorso anno le elezioni del Presidente: tra accuse di brogli e pressioni in alcuni casi sfociate nella violenza, è stato proclamato eletto quello che nei sondaggi sembrava avere meno consensi del suo competitore. Ma la prudenza vuole che ora non si vada a contestare l’esito del voto ma si lavori per migliorare quanto è possibile del sistema.

Con i suoi 28 sacerdoti, di cui 20 religiosi (in gran parte salesiani), dediti fra l’altro all’assistenza spirituale dei lavoratori sul modello della GiOC, si cerca di costruire una comunità diocesana che possa promuovere maggiore consapevolezza civile. Oltre alla denuncia delle storture delle classi dirigenti, occorre infatti instillare la coscienza del bene comune. La Chiesa affronta anche l’educazione fiscale, spiegando che con il pagamento delle imposte tutti possono usufruire dei servizi pubblici. A incominciare da quelli della sanità.

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