L’estate per i fare i conti con la vita: volontari in missione

Un’estate cha ti cambia la vita. Ne sono consapevoli in tre giovani volontari in partenza per diverse destinazioni che la pastorale missionari propone quest’anno. Silvia M., Michele D. e Simona P. esprimono le attese loro e dei compagni con i quali vivranno alcune settimane rispettivamente in Nigeria, Romania e Benin.

  • Silvia, 19 anni, è la più giovane del piccolo gruppo che incontriamo a Missioni Don Bosco. Dopo la maturità, lo scorso anno, partecipò al campo scuola riservato ai nuovi universitari. Lì maturò un’idea che aleggiava nella sua testa da tempo ma che non aveva mai preso consistenza. La sua famiglia è ben disposta verso queste esperienze, sua sorella maggiore è già stata in missione con i salesiani e con la Comunità di Sant’Egidio… ma lai non aveva mai pensato di essere coinvolta in un’esperienza diretta. Il “Campo 4” al Colle Don Bosco è servito a collegare la messa a fuoco del proprio percorso personale con le prospettive di servizio agli altri nella speciale dimensione della mondialità.
  • Michele, 33 anni, “veterano” fra i partenti, è passato anche lui molto rasente a questa esperienza missionaria ma non aveva mai oltrepassato il sottile diaframma che divide il parlarne e il sostenerne la progettazione per altri e il viverla in prima persona. Lui è infatti un educatore dalla lunga esperienza all’oratorio “Agnelli” di Torino (12 anni), è diventato psicologo; qui ha percorso tutta la gamma dei servizi, compresa quella nella scuola come insegnante o ora ATA. Ha incontrato da vicino la missione di don Serafino Chiesa in Bolivia e lo scorso anno è stato in Terra Santa a vistare l’oratorio salesiano di Nazareth. Ma non si era mai “accesa la lampadina”, come dice lui stesso; la quale invece ha incominciato a brillare quest’anno.
  • Simona, 24 anni, si dice “adottata” da una decina d’anni da un salesiano, don Enrico Lupano, che l’ha accompagnata a rendersi conto della dimensione missionaria. Grazie agli incontri fatti a Valdocco e al Colle, leggendo la vita di missionari e ascoltando la testimonianza di altre persone volontarie prima di lei, ha preso la sua decisione. Vivere distante dalla grande città le ha reso più impegnativa la partecipazione al percorso formativo del gruppo di 14 giovani che si sono preparati all’esperienza estiva 2019, ma il suo entusiasmo non epidermico rivela che per lei ne è valsa davvero la pena.

Un anno di impegno con l’animazione missionaria

Don Theophilus Ehioghilen, delegato di animazione missionaria, ricorda come il gruppo dei 14, composto da persone fra i 19 e i 35 anni, abbia seguito un percorso di formazione impegnativo scandito da nove appuntamenti nelle fine settimana dall’autunno 2018 a quest’ultimo mese. Provengono da istituti e da oratori, alcuni sono stati allievi o frequentatori delle opere della congregazione. Andranno a svolgere compiti di assistenza nei centri estivi in località dove la presenza giovanile è molto elevata, e dove il supporto numerico e di esperienza risulterà prezioso in carenza di animatori locali. Non secondario sarà il fatto che questo aiuto venga da giovani di un Paese diverso, a rappresentare concretamente la dimensione della solidarietà internazionale e della rete globale salesiana. “Questi giovani volontari in partenza non cercano attenzione” tiene a sottolineare don Theo, “davvero si sono formati per essere semplicemente a disposizione di chi gestisce le iniziative”. Il viaggio e il contributo per vitto e alloggio se lo pagano per non essere di peso alla missione: durante l’anno hanno organizzate serate, venduto magliette, trovato altre forme di autofinanziamento, aiutati dagli altri dell’animazione missionaria. Anche questo fa parte della condivisione.

Don Theo accompagna il gruppo che va in Nigeria, la sua terra di origine. Silvia sarà con lui per un mese. Ha cercato di sapere quanto più possibile della condizione di vita in quello che è un Paese di provenienza di molti immigrati in Italia. C’è il tema della salute, della differenza culturale, dei pregiudizi da superare: è pronta a mangiare il cibo con le mani, ad adattarsi alle diverse situazioni. “Ci fanno paura i migranti che attraversano il Mediterraneo: ma sono da credere le descrizioni di queste persone che sembrano prevalere nell’opinione pubblica?”  domanda Silvia già rinforzata nel suo proposito di ricerca nel campo della comunicazione interculturale, desiderosa di vedere sul campo come applicare i suoi studi di sociologia e di antropologia avviati da un anno in Università.

“Aprirsi con il resto del mondo” è quanto intende fare Michele con questo viaggio in Romania. “sapevo della missione perché avevo preparato i ragazzi che erano andati là due anni fa, ma non pensavo che sarebbe toccato anche a me”.  Andrà nella missione delle suore della Divina Providenza a Cireșoaia, un’ora a nord di Bacau, località dalla quale molti sono emigrati a Torino. Il fenomeno che lì si verifica è la fatica comunicativa fra gli anziani rimasti e i loro nipoti che tornano per il periodo estivo e non parlano il rumeno. “St cercando di imparare un po’ della lingua locale” spiega Michele, “ma confido sul fatto che saranno proprio i bambini a venirci incontro conoscendo loro l’italiano”.

La consapevolezza che l’esperienza sarà una pennellata di amicizia, non certo la risoluzione dei problemi della comunità in cui andranno per qualche settimana, è ben presente in Simona che andrà in Benin: “Mi aspetto di fare un incontro, più che di andare a fare qualcosa. Il mio obiettivo è di riuscire a stare bene con chi vive lì. Se mi domando che posso fare per loro, mi rispondo: nulla. Saranno loro a farmi crescere, a farmi trovare qualcosa”. A Cotonou, dove sarà ospite della missione delle figlie di Maria Ausiliatrice, incontrerà bambine e ragazze sottratte alla tratta.

Nel nord del Paese si concentra questo mercato di esseri umani al quale fanno contrasto le suore che accolgono nella speranza di un recupero psicologico e di un possibile ritorno nelle famiglie, che pure le hanno vendute per ricavarne qualche denaro per la sopravvivenza. “Quel che sento è che vivrò sicuramente una missione ‘radicale’, ma al momento penso che potrò essere poco più di una ‘esploratrice’”.

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