16 settembre 2019 – Prima tappa
Siamo arrivati in Perù, nella grande capitale di Lima, che con i suoi dieci milioni di abitanti è una della più grandi città del sub continente latino americano.
Siamo sotto l’Equatore e dunque qui le stagioni sono rovesciate rispetto alle nostre. A settembre stiamo uscendo dall’inverno ed avviandoci verso la stagione calda. Non credevo di trovare a Lima, comunque, una temperatura così fastidiosa. C’è sempre una leggera nebbiolina con conseguente forte umidità che penetra nelle ossa. Il cielo è perennemente grigio, il sole non si vede proprio.
Il Perù dal punto di vista del clima, che ha inciso anche sulla vita sociale e sull’economia del Paese, si può dividere in tre distinte zone da nord a sud.
Lungo il Pacifico c’è la costa caratterizzata da un deserto continuo in cui le montagne che digradano verso il mare sono brulle e spoglie. Non cresce vegetazione alcuna perché non piove mai. Lima si trova proprio in questo deserto ed è, dopo il Cairo d’Egitto, la seconda città più grande al mondo costruita sul deserto.
C’è poi la Sierra che comprende tutto il territorio delle Ande con cime altissime e popolata dai Quechua, i discendenti del popolo Inca.
La parte orientale del Paese invece digrada nella conca amazzonica con clima tropicale e tribù indigene che si possono raggiungere solo via fiume, non ci sono strade.
Dal 1891 la presenza salesiana
I primi salesiani arrivarono in Perù nel 1891. Era la prima spedizione missionaria che fece don Rua, il primo successore di Don Bosco alla guida della Congregazione Salesiana, dopo la morte del fondatore, avvenuta nel 1888.
Attualmente le opere salesiane in Perù sono 16, distribuite in tutte le regioni del Paese. Ci sono grandi scuole frequentate quotidianamente da migliaia di allievi, che vanno da quella dell’infanzia alle superiori. Ci sono poi tante parrocchie, sia nelle città, sia nella foresta amazzonica con decine e decine di cappelle sparse in villaggi così remoti che il missionario riesce a visitare una sola volta all’anno.
Una bella iniziativa che i salesiani del Perù hanno avviato da alcuni anni è quella delle “Casa Don Bosco”. Si tratta di convitti, sono attualmente una decina, affiancati alla scuola o alla parrocchia salesiana, in cui vengono accolti i ragazzi più poveri. Spesso sono ragazzi con problemi familiari, non orfani ma in famiglie numerose, con i genitori ammalati e impossibilitati a lavorare per il sostentamento dei figli. A volte sono figli di ragazze madri che, per sposarsi, lasciano il figlio dai salesiani ed iniziano una nuova vita.
Le “Casa Don Bosco” accolgono anche ragazzi poveri e semplici che vengono dai villaggi più lontani e sperduti, i cui genitori sopravvivono lavorando un piccolo pezzo di terra e non potrebbero mai pagare un posto in un collegio pubblico per permettere ai figli di frequentare le scuole che nel proprio villaggio non ci sono.
Ordinariamente in ogni “Casa Don Bosco” vive una cinquantina di ragazzi in un clima di famiglia, proprio come avveniva anche da noi fino all’avvento del boom economico degli anni ’60 e ’70 del scorso secolo.
Il grande esodo dal Venezuela
L’ultima frontiera della povertà che i salesiani del Perù si sono trovati a gestire è quella dei profughi venezuelani che fuggono dal caos nel quale il loro Paese è precipitato di recente. In America Latina i due Paesi che accolgono più profughi dal Venezuela sono la Colombia e il Perù. Le stime ci dicono che attualmente i rifugiati qui approdati sono un milione. Il loro sogno è di arrivare a Lima, dove qualche occupazione si può sempre trovare. Numerosissimi sono i giovani soli che sono giunti in Perù a piedi, attraversando la Colombia e l’Equador. Hanno impiegato mesi per arrivare, camminando senza sosta ed approfittando di qualche mezzo di fortuna, quando si trovava. Sono partiti senza un soldo in tasca, all’avventura, disperati perché nel loro Paese non c’è da mangiare, non ci sono medicine, non c’è più nulla!
Essendoci un’ala del collegio salesiano in Lima che non era utilizzata, i figli di Don Bosco hanno deciso di destinarla ad un centro di prima accoglienza di ragazzi del Venezuela. Ora sono 52 le persone accolte, dai 18 ai 25 anni. Arrivano in città stanchi, delusi, dimagriti.
L’anima di questo apostolato è padre José, l’economo ispettoriale di tutte le opere salesiane del Perù. Questi passa tutto il giorno in ufficio fra bilanci, contratti, rendiconti… e dopo cena prende l’auto e va a stare con i ragazzi venezuelani fino a tarda notte. Questo stare con i giovani, ci dice lui è una “messa a terra”, come quella degli impianti elettrici: vale a dire che è quel contatto con la realtà giovanile che lo aiuta a dare senso al servizio amministrativo che quotidianamente la congregazione gli chiede di svolgere. Rientra a volte a mezzanotte, ma spesso anche più tardi. Si, perché questi giovani vengono avviati subito a trovarsi un lavoro, spesso anche irregolare, ma pur sempre un lavoro. Uno di questi giovani si imbarca ogni mattina alle 4.00, su un peschereccio per 7 dollari al giorno… ed una volta è finito pure in mare agganciato dalla pesante rete da pesca calata nelle acque dell’oceano Pacifico. Oltre ai pesci hanno ripescato anche lui. Se l’è cavata con un bello spavento.
I nuovi “Don Bosco”, “don Borel” e “Mamma Margherita”
Le ore lavorative in Perù sono per tutti almeno 10, a volte anche 12, perché per vivere la gran parte della gente svolge più di un lavoro. I giovani quindi rientrano in Casa Don Bosco non prima delle 8 – 9 di sera. Si fanno una doccia, cenano e poi stanno un po’ insieme. Sono questi i momenti in cui il sistema educativo di Don Bosco trova il suo spazio naturale. Fra una chiacchiera e l’altra si può dire una buona parola, si può intuire la sofferenza di chi sta in silenzio, si può trovare il tempo per ascoltare confidenze personali che questi poveri giovani non hanno più nessuno con cui condividere, ed essere ascoltati. Assieme a padre José c’è anche padre Marino. È un missionario originario della mia terra, il Veneto, partito dal Bellunese per le missioni una sessantina di anni fa ed approdato in Perù. Padre Marino ha 88 anni e si trova nella casa di riposo dei salesiani. Invitato da padre José ad andare una sera a visitare i giovani Venezuelani, non ha più smesso di farlo. È praticamente rinato, questo anziano sacerdote un po’ sordo, amatissimo dai giovani. Li incontra con tutta la ricchezza della sua lunga esperienza di prete e di educatore. Capace di consolare, incoraggiare, amministrare il perdono del Signore a coloro che si accostano a lui per il sacramento della riconciliazione.
C’è poi la signora Roxana, la cuoca del centro, che ha un largo e buon sorriso, prepara la cena e la distribuisce man mano che i giovani rientrano stanchi dal lavoro. Anche lei è un punto di riferimento indispensabile nell’opera salesiana, perché oltre ai sorrisi è capace di dare una carezza e di sussurrare qualche buona parola all’orecchio dei giovani, proprio come una brava madre. Dio solo sa quanto ne hanno bisogno, ora che sono lontani dalla propria casa, dalla propria famiglia, dalla loro mamma.
Padre José, padre Marino, la signora Roxana… sono i nomi di Don Bosco, don Borel, mamma Margherita per i ragazzi del Venezuela che arrivano a Lima, proprio come i ragazzi poveri nella Torino del Ottocento che scendevano dalle valli del Piemonte e arrivano a Valdocco a cercar lavoro ed un futuro migliore.
Leggi la seconda parte del viaggio – Perù: la sierra e la selva, le Ande e l’Amazzonia