Nascerà l’associazione degli ex allievi di scuole salesiane in Eritrea

C’è entusiasmo, moderato dalla considerazione delle condizioni di vita nel loro Paese, fra i dieci giovani partecipanti all’incontro europeo degli ex allievi salesiani dell’Eritrea, che si è svolto a Torino sabato 2 e domenica 3 novembre.

A radunarli e a guidare l’incontro è stato il delegato del Rettor Maggiore dei salesiani per quel Paese africano, abba Petros, impegnato a tener vive le relazioni fra i suoi connazionali in diaspora. Una vera sorpresa per i partecipanti è stata la presenza anche di abba Alazar, che fu direttore di una delle scuole professionali negli anni di frequenza da parte di alcuni dei presenti (fra il 2002 e il 2005).

Un incontro fra vecchi compagni di scuola, accomunati dall’aver lasciato la propria terra per cercare di mettere a frutto, in una condizione di libertà e di sicurezza, le competenze acquisite nelle scuole professionali salesiane. Le loro esistenze sono segnate dalla decisione dopo gli studi di lasciare la loro terra e di attraversare il deserto del Sudan per arrivare in Libia, e da lì navigare su qualche barcone nel Mar Mediterraneo per mettere piede in Europa. La loro avventura è iniziata insieme con quella di parenti o di amici, non tutti purtroppo arrivati alla meta.

Costretti per ragioni diverse a cercare asilo lontani dai loro villaggi e dalle loro città, i dieci partecipanti all’incontro hanno dovuto superare un altro confine: quello dell’accoglienza in Europa, da Lampedusa a una capitale del Nord Europa. Qualche connazionale li ha aiutati a trovare una prima collocazione, ma non è stato facile valicare la condizione di straniero in cui si sono ritrovati nei diversi Paesi: Regno Unito, Germania, Svizzera, Svezia, Norvegia. La prima difficoltà è stata la lingua, anche se il loro inglese scolastico e praticato in Eritrea è risultato essere molto prezioso per introdursi nel mondo del lavoro. Oggi hanno la possibilità di mantenere se stessi e le loro famiglie e di rimettere del denaro ai loro familiari rimasti in patria.

Che ragione c’era di darsi appuntamento a Torino, a Valdocco? L’idea nacque dalla proposta di Missioni Don Bosco di “far conoscere il luogo dove tutto ebbe inizio”, come spiega il direttore Marco Faggioli. Anche la lontana scuola ad Asmara o a Dekamare da essi frequentata nasce dalla prima tettoria per l’oratorio. È stata come un’illuminazione: “tutti hanno preso coscienza di essere stati aiutati da Don Bosco, e desiderano conoscere più a fondo da dove provenga la spinta del carisma salesiano”, ha osservato abba Petros.

Purtroppo non tutti quelli che si erano prenotati sono riusciti a partecipare: impedimenti non previsti, documenti per l’ingresso in Italia non pervenuti in tempo, in qualche caso anche il costo del viaggio (ognuno dei partecipanti si è pagato il volo aereo). Tuttavia “con quelli che sono venuti, abbiamo deciso di dare vita a una rete fra gli ex allievi eritrei”. L’incaricato del Rettor Maggiore e il presidente di Missioni Don Bosco, Giampietro Pettenon, sono soddisfatti che questo obiettivo sia maturato dagli stessi partecipanti. È una decisione operativa, “lo scopo è quello di dare una mano ai loro fratelli in Eritrea” spiega abba Petros: sostegno per i percorsi professionali, condivisione di esperienze sulle specializzazioni più richieste anche all’estero, consigli per non affidarsi ai trafficanti di esseri umani.

È stata una riunione di lavoro, ma anche un incontro a tu per tu fra protagonisti del fenomeno migratorio intercontinentale. “Alla domanda: cosa diresti oggi a un tuo giovane connazionale?” afferma Faggioli, “la risposta di getto di tutti loro è stata: rimani lì, non andare via… Lo dicono con gli occhi che sembra proiettino momenti tremendi del viaggio, soprattutto per le donne, allora ragazze”. Eppure tutti hanno ribadito di essere fuggiti da condizioni di vita inaccettabili. Assistiamo a un paradosso drammatico: pur avendo superato grandi sfide, queste donne e questi uomini dispersi in Europa rimangono con l’amaro in bocca del fallimento in patria. “Ce l’hanno fatta, perché sono vivi; ce l’hanno fatta perché hanno una residenza, un lavoro, una vera integrazione” spiega ancora Faggioli, “e tuttavia sentono di aver spezzato le radici, di aver preso una decisione che corrisponde a un fallimento registrato nel loro Paese”. Un Paese dove un ragazzo non può immaginare un futuro per sé, né abbozzare un progetto di vita. Dove sognare, certe volte, è inutile.

Nella storia personale di ciascuno di loro però il fatto di aver incontrato i Figli di Don Bosco può essere una leva su cui spingere per un riscatto interiore. Conoscevano la vita del Santo fondatore, ne avevano sentito il racconto dai loro insegnanti in Eritrea e hanno visto il film sulla sua biografia, ma “l’incontro qui a Valdocco è stato molto forte perché i giovani Eritrei ci hanno detto che trovarsi qui e percepire la spiritualità del Santo fondatore è diverso, emozionante” racconta abba Petros. “Alla fine di questo incontro abbiamo tratto le conclusioni, e uno di loro ha detto che come Don Bosco ha mandato missionari da questo luogo, loro si sentono di dover crescere come missionari fra i loro fratelli”.

È stato naturale darsi appuntamento per procedere su questa strada: nell’agosto del prossimo anno, una località significativa dell’Europa accoglierà i giovani fondatori dell’Associazione ex allievi salesiani dell’Eritrea.

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